martedì 31 agosto 2010

Vi consolate con l'insalata

Dunque, guardami attentamente negli occhi. Le dedichiamo una poesia, che dici?
Dico, dico. Noi chi?
Beh, fino a prova contraria siamo in due.
Ma sì, ma sì. Sicuro sicuro?
Beh, dai, apprezzerebbe di certo. Come rifiutare i versi, le rime, le assonanze?
Ma a chi la dedichiamo? Laura, Beatrice, Irma, Enrichetta?...tutte morte.
Si si. Bang.
Già, caput.
Lei è ancora viva, dico bene? Capirà di certo il rantolo d'amore concesso alla poesiola.
Ma figurati. Provincialotta e borghesuccia qual'è. Devi parlarle in modo brutale, da burino, volgare, altro che soavismi e lirismi.
Lascio perdere? Convinto tu...
Convintissimo. Butta giù piuttosto una lettera. Due righe, gli dici questo, questo e quello.
...al bando la sensibilità.
E certo. Che c'azzecca di questi tempi. Meglio essere diretti. Scrivi le tue intenzioni e facciamola finita.
Facciamola?
Facciamola!
Ma una lettera non è demodè? Di questi tempi, mi dici tu. Non si usano altri sistemi.
Beh, non eri tu che volevi un pizzico di romanticheria?
Pur nel solco della virilità, beninteso...
...che non siamo mollaccioni.
Presto detto. Dai scrivi scrivi.
Calamaio e penna. Subito...
Eccolo. Due punti.
"Signorina, veniamo noi con questa mia a dirvi..."
Addirvi. Una parola. Addirvi.
"...addirvi una parola.."
Che. Che. Scusate se sono poche. Ma settecentomila lire; noi ci fanno. Specie che quest'anno. Una parola. Questanno. C'è stato una grande moria delle vacche. Come voi ben sapete.
Punto.
Due punti!! Ma sì, fai vedere che abbondiamo.

Capite che il tono mica è tanto serioso. Capite d'altronde che la parte finale più che un surrealismo di questa mente qua, è la trascrizione di parte della famigerata lettera che Totò detta a Peppino nel classico della commedia italiana, Totò e la Malafemmena. Che poi faceva osservare Maurizio Porro sul Corriere qualche settimana fa è stata ripresa molte volte dal cinema italiano: vedi il mitico Non ci resta che piangere.
Capite inoltre che l'ispirazione non la capirete mai...

Uomini e no(i)

E' forse nel cane la natura dell'uomo? Di quel cane che guaisce, che si rintana sotto il letto, di quel cane che fugge allo sguardo del padrone. "Blut, il cane, sa che non può più seguire Figlio-di-Dio dopo quello che ha fatto. [...] Io vorrei vedere gli altri: lo stesso Hitler, nelle circostanze stesse, con un Figlio-di-Dio per lui, e lui che si rendesse conto di quello che fa, e guaisse, corresse sotto un letto a gemere".
Non già nell'uomo è la natura dell'uomo. Il paradosso che Vittorini coglie al meglio nel suo romanzo di militanza. Comunista nella copertina (l'autore militerà nel PCI e dirigerà per diversi anni L'Unità. La morte lo coglierà nel 1966), umano, umanissimo, nella documentazione cronachistica di una minuziosa Milano post-25 Luglio 1943. Mussolini già lontano, forse a Salò, i tedeschi insediati in Via Santa Margherita a caccia dei Gruppi d'Azione Patriottica.
L'atmosfera è tesa, troppo surreale, vorrebbe sprizzare di quotidianità cullata da un inverno mite, il "più mite che abbiamo avuto da un quarto di secolo", ma non ci riesce. Proprio non ce la fa: "il coprifuoco era sulla città - scrive Vittorini - un immenso ragno, con zampe sottili dentro al chiarore della Luna".
E più avanti la cupa esistenza cittadina si trasforma in una insistita intervista con sè stesso, domande domande e domande. Senza risposte: "conosco il deserto in cui egli è ora, non l'amore, ma la sua sabbia nera".
No, non può essere nell'uomo la natura dell'uomo. La Resistenza con la R maiuscola diventa così resistenza con la r minuscola. Se Uomini e no è il romanzo della Resistenza per antonomasia (difficile trovare qualsiasi scritto su quegli anni così coinvolto nei fatti e così meditabondo sulla vicenda assaporata), lo è perchè fa dell'eccezionalità storica una condizione metafisica del genere umano. Non una isolata lotta al nazifascismo, ma l'infinita liberazione dell'uomo dal morbo di sè stesso.
Uno scontro che porta all'(auto)annullamento, all'annichilimento dell'estro metafisico. Combattere vuol dire perdersi. Perdersi la vita, le belle donne, le piacevoli letture, il lavoro, perdersi il Naviglio Grande al tramonto, perdersi il tramvai che va a Piazza Fontana e torna indietro, perdersi un bicchiere di vino, perdersi in un goccio d'acqua. Non già sopravvivere: già, sopravvivere a cosa? A sè stessi? Agli altri? Alla propria ombra?
No, è "molto semplice", se combatti vuol dire che vuoi perdere. Allora, "perchè lottare? Per resistere. Come se mai la perdizione ch'era sugli uomini potesse finire, e mai potesse venire una liberazione".
No, no e ancora no. Impossibile liberarsi dall'uomo. Dall'uomo che mai capisce, mai si applica, mai prende seriamente d'impegno di liberarsi da/di sè stesso. L'uomo dovrebbe abbandonare la natura dell'uomo.
Vittorini scrive in una nota finale che "la mia appartenenza al Partito Comunista [consideriamolo pure come quel partito d'ala massimalista d'ispirazione sovietico-gramsciana. Non già quello di stampo togliattiano] indica dunque quello che io voglio essere, mentre il mio libro può indicare soltanto quello che in effetti io sono".
E questa volontà prescrittiva, questo ridursi a voler essere "solo" un buon militante, può aiutare il lettore e i suoi arrovellamenti sulle righe finali del libro.
Anche se invero è tutto inutile. L'uomo non potrà mai ambire alla natura dell'uomo.
"Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un'altra donna: questo era il modo migliore di colpire l'uomo. Colpirlo dove era più debole, dove aveva l'infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dov'era più uomo".

domenica 29 agosto 2010

Satoshi Kon. Aspettaci!

Le 17 e 51. Il 25 Agosto passato. Prima suona, poi vibra. O forse il contrario.
Parliamo certo che sì del tuo cellulare. "E morto Satoshi Kon..."
Si certo manca l'accento, ma...ehi...che notizia mi stai dando, Ste?
Come? Dove? Quando? "L'altroieri, cancro al pancreas... Lo sapeva da mesi, ma ha finito comunque il film e tenuto il silenzio con la stampa. Devi leggere la lettera d'addio..." la pronta risposta.
Il ritorno a casa, poche ore or sono e subito a caccia di dettagli. Ma già i lacrimoni scendono copiosi. Il rammarico? Macchè, persiste da quel 25 Agosto.
Così vieni a sapere della diagnosi il 18 Maggio passato, della lunga malattia terminale, dei tanti che gli sono stati vicini (la moglie, i vertici della Madhouse, i genitori, il personale medico,...) e di quel film instancabilmente portato a termine. Lascito testamentario a questo mondo d'illusi...
Perchè, per un artista, lasciare le cose a metà è terribile. Su due piedi affiora alla mente L'Assedio di Leningrado di Sergio Leone (ora nel cassetto di Tornatore), nonchè Sodoma e Gomorra di Pasolini (ricostruito come sceneggiatura nel documentario La voce di Pasolini). Ma le incompiute sono innumerevoli anche in altri campi. Affiora or ora Kafka e il suo America.
Ritornando invece al regista nipponico ci sarà modo e tempo di ricordarlo nel corso di un articolo di prossima pubblicazione, qui permettetemi brevi cenni personali.
Si diceva sopra che un certo Stefano mi ha telegrafato la notizia, con una certa lungimiranza visto che appunto vacanza=niente internet. Fu proprio lui a segnalarmi i lavori di questo misterioso Kon: dovetti farmi pregare per vederli, perchè a me sti thriller non mi garbano poi molto e poi stavo (sto) troppo con l'immaginario di Miyazaki e dello Studio Ghibli per passare al lato oscuro.
Poi Perfect Blue: malato, intransigente, ma bello, intenso. Poi dodici mesi dopo il resto: Paprika, Tokyo Godfathers e Millenium Actress.
La caccia dei DVD, la canzoncina delle idol (Toki Toki ecc), i bellissimi making of delle edizioni italiane. E poi l'annuncio di Dream Machine, prossimo film del regista, portando avanti con pazienza. Molta. Troppa.
Ma sì, una ritardo nei lavori, proprio come Paprika, scritto e riscritto nella sceneggiatura, disegnato e ridisegnato nello storyboard.
E invece quel maledetto 18 Maggio. Il cancro. La morte.
Mi mancherai...
Ci mancherai.


mercoledì 18 agosto 2010

Trentatre olgiatesi entrarono a Pinzolo

Sottotitolo: facce, risate e defezioni

Dunque dunque, ci sarebbe da completare il puzzle delle ultime due settimane (e più), non documentate per ovvie ragioni a queste latitudini. Perchè 15 giorni privi di accrocchi elettronici fa sempre bene a chi, volente o nolente, ne ha achefare tutto l'anno in più e più declinazioni.
Anzitutto il luogo: Pinzolo, Val Rendena, Dolomiti Dolomiti. Più in su di Brescia, più in giù di Madonna di Campiglio.
Freddo, caldo, pioggia.
Sole, nuvole, pioggia.
Marmotte, grilli, cavallette, pioggia.
Torte, carte, pioggia.
E tedierei ancora a lungo con elenchi triadici e l'ultima rima identica. Odiosa pioggia, identica nel tuo scrosciare imperterrita, notte, giorno e dì. No Grazie.
Ma anche pioggia gioiosa nel tuo sollevare sentimenti comunitari, sanciti da acquisti selvaggi di proprietà fondiarie, cruciverboni monosquadre, criteri tanto cruenti quanto inclini alla frociaggine, carte carte carte carte e carte. Cinque. Perchè - l'emerita citazione dell'anonimo - la vita (terrena) è una soltanto e non si può sempre andare a lisci. Non il ballo s'intenda...
E il calcio in gabbie rinforzate da sassolini verdognoli (dicono servano a prevenire le fiacche. Parola d'ingegnere!), e il racchettone sport in costante aggiornamento, e la pallavolo in cui più di tutti conti forza d'animo e spirito di squadra. Ma sopratutto un terreno asciutto e delle righe che non concedano l'inciampo al giocatore in battuta.


Dall'altro lato ci sarebbe da intendere come salutari le gitarelle su e giù pei monti, scalzati di qua e di là dalle intemperie. Brave brave, belle belle. Altro che "coglieremo stelle alpine per portarle alle bambine farle pianger e sospirar". Grazie grazie.
Perchè a dispetto dei molti alleati, di fatti un elefante in cerca del cartaginese a lui assegnato può celarsi dietro ogni arbusto, dietro ogni tornante, dietro ogni masso aguzzo, dietro ogni icona religiosa. E se t'attacca che fai? Rispondi con la vuvuzeta o inizi a correre...


Dal momento che tale post andrà a uso e consumo degli avvoltoi di Facebook si fanno due precisazioni e non se ne parla più. Primo che le foto ve le scrocco volentieri e quasi quasi ci passo sopra quella scure chiamata Photoshop, almeno smusso quella mia similgobba andreottiana.
Secondo beh, io ci ho visto quest'anno un affiatamento unico; sarà forse per le "simpatie" createsi o non createsi (forza forza, coraggio), sarà per questi immensi tendoni che fagocitano volentieri dodici nerboruti uomini, sarà per le tante domande che il Patrono d'Italia ci ha continuato a porre, sarà per il Don Matteo digei del karaoke (cantare a squarciagola la sigla di Daitarn III a una cert'ora di notte è puro nonsense. Di nuovo che è un meganoide? Il fisico e lo scienziato si guardarono), sarà ancora per la vita di privazioni da che conduce a...
I miei due cents vanno alle torte copiose e variegate.