mercoledì 7 aprile 2010

Rockstar non gioca più con le vecchiette...

Fa paura. Fa dannatamente paura. Il modello editoriale americano si è ora espanso anche alla succursale (videoludicamente parlando, vedi Kotaku) australiana.
Due anni fa il caso di Jeff Gerstmann e del suo licenziamento da Gamespot causa-rimostranze-da-Eidos circa la recensione negativa di Kane & Lynch (è una chiavica di gioco, che dire altro?) aveva fatto il giro del pianeta, coinvolgendo anche la stampa (videoludica, s'intende) europea: l'idea che i publisher avessero così tanto potere all'interno delle redazioni statunitensi, anche di quelle più importanti, da costringere al licenziamento uno dei giornalisti più in vista della testata, faceva rabbrividire chiunque, in particolare coloro che investono tempo e denaro per portare avanti un progetto editoriale legato ai videogiochi.
Oggi spunta il caso Toby McCasker, che curava la pagina videoludica di Zoo Weekly. E' il portale news.au a seguire da vicino la faccenda: tutto ha inizio quando giorni addietro aveva pubblicato un'articolo, un'anteprima, a seguito della prova su strada dell'atteso Red Dead Redemption di Rockstar Games. Non deve essere stato uno scritto particolarmente lusinghiero, tant'è che il PR della casa di GTA invitò i direttori della testata a rivedere il pezzo pubblicato: "E' il titolo più grandioso che abbiamo prodotto dopo GTA IV - recita la mail recapitata a zoo weekly - e già sta ricevendo nomination come gioco dell'anno da molti specialisti da tutto il mondo. Puo verificare che l'articolo di Toby rifletta questo - dovrebbe rispettare meglio le aspettative di cui scrive".
Ora: il problema non risiede tanto nel fatto che un produttore faccia pressioni su un redattore. E' cosa non eticamente cristallina, ma rientra di certo nelle cose accettate. Dopotutto stampa e industria videoludica hanno bisogno l'uno dell'altro per sopravvivere: l'uno invia le notizie, l'altro le pubblica. Così, banalmente...
McCasker ha sbagliato nel momento in cui ha pubblicato quella mail sul proprio profilo Facebook, scatenando l'ira e l'odio di Rockstar. Così ha commentato il povero Toby: "Non mi sono iscritto come giornalista per scrivere pubblicità mascherata da editoria. Questa cultura del ‘cash for comment' sta velocemente diventando lo status quo nell'editoria, e mi da tremendamente fastidio". Eccolo il modello americano: trattare i giornalisti come (scomodi) pubblicitari. Le cose non vanno di certo così, o meglio non devono andare così: il produtore invita la stampa a provare un prodotto, gli fornisce un'area rilassata, delle sorridenti signorine, qualche frizzante stuzzichino, una manciata di gadget. E qui finisce, questo è il limite: l'ammaliato giornalista, contento comunque per il lusinghiero trattamento ricevuto, si siede di fronte al computer e batte le sue impressioni e sensazioni. Ma a questo punto si riterrebbe che il produttore in questione prenda atto e non si lamenti di quanto fuoriesce dagli infuocati polpastrelli.
Oltretutto, dai, Rockstar, per una misera anteprima!!

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