sabato 13 novembre 2010

Vox populi: Django ha qualcosa da dire

Dare voce a chi voce non ha. Non la ha mai avuta o non la ha più.
Così nasce La voce del western italiano, documentario amatoriale preparato da quanti s'occupano dello Spaghetti Western Database. Punto it.
E ho detto tutto: siamo dalle parti di chi si beffa della nota spregiativa cinema di genere al western all'italiana, di quella critica che Leone blablabla (ci mancherebbe...) e poi evita accuratamente quanti hanno seguito, perfezionato, limato, sperimentato con la formula del regista romano. Quello dei nè buoni nè cattivi, solo brutti.
Si parla dei Django e dei Trinità, si parla di Corbucci, di Tessari, di Castellari, si parla dei Nero, degli Eastwood, dei Fonda, dei Van Cleef, dei Gemma. Elenco infinito di film, registi, interpreti della migliore stagione del cinema italiano, o meglio quella pèiù redditizzia a livello mondiale: saranno mancati i riconoscimenti, ma il pubblico aveva imparato ad attendere con maniacale questi film così crudi e crudeli, queste storie di vendetta e di amore, di massacri e d'isolati duelli. Pur con una qualità audio mah, un sonoro beh e un montaggio boh, La voce del western italiano è opera eloquente intrisa di passione e caparbietà, utile se non altro a tracciare un sunto degli oltre 600 film che possono di diritto fregiarsi del titolo di Spaghetti Western. Che è grande film italiano come il filone neorealista e i Fellini e gli Antonioni e i Tornatore: in effetti si sottolinea come il cosidetto cinema impegnato sia stato sempre l'unico cinema spinto all'estero, candidato a Oscar, quando in realtà spesso si tratta di pellicole intense per carità ma guardate con sufficienza e scherno dal pubblico. Le giurie internazionali difatti raramente hanno supportato tali scelte cinematografiche, che specie negli Usa non trovano molto seguito: il cinema è anzitutto industria e deve battere cassa con produzioni che avvincono il pubblico. Da qui semmai gli Oscar alla carriera in extremis ai Fellini, ai Morricone e a quelli che in carriera ne son sempre rimasti asciutti.
Intesi quindi? Il western italiano sarà pure ora ridotto a una macchietta a sporadiche pellicole indipendenti, ma nel passato ha dettato legge e ha avuto un riconoscimento e un rispetto che ogggigiorno si stenta a considerare, quando dovrebbe essere vanto nazionale. Perchè se gente che si è spupazzata Red Dead Redemption oltrestivale e ha pensato anzitutto ai panorami di Leone o di Corbucci anzichè alle colline di John Ford, beh deve pur significare qualcosa...



P.S. a chi di western non ne frega una ceppa, può almeno trovare interessante la sequenza introduttiva del documentario, quella con sottofondo il rap di Nas che da voce al celeberrimo brano Estasi dell'oro.

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