sabato 26 giugno 2010

Pixar Files #2: Ratatouille

Ritornano a gran voce (??) i Pixar Files. Disquisizioni più o meno serrate sulla storia dello studio Pixar, oramai pronta a distribuire anche in Italia il terzo Toy Story.
Sicuramente vi siete persi la puntata uno, dedicata a Wall-E. Nessuna paura, visto che il secondo appuntamento va all'indietro in una logorante cronologia, che si ferma esattamente dodici mesi prima del Novembre 2008.
Sala buia, una certa aspettativa: i due precedenti lavori della casa di Emeryville, Gli Incredibili e Cars, avevano mostrato il lato più infantile e sciatto della computer grafica, affiancando per (pessima) qualità i cartoon Dreamworks (L'Era Glaciale, Madagascar, Shark Tale).
Ratatouille, invece, con una certa sorpresa inaugura un riuscitissimo periodo per Lasseter e soci, costellato di successi e apprezzamente da parte della critica. Ormai sovrani assoluti degli studi d'animazione Disney, si divertono a proporre il loro personalissimo "topo", audace come il suo nonnetto, ma ben più sensibile e realistico.
La trama parla di cucina e gastronomia (yum), vielle e nouvelle cuisine, haute cuisine e roba da scaffale surgelati, ma anche di strane sinergie. Lo stile grafico è inarrivabile, estremamente spesso, i personaggi assumono le porosità e le languidezze dei cibi che si trovano a cucinare, secondo uno schema dal basso verso l'alto già apprezzabilissimo ne "I mangiatori di patate" di Van Gogh.

Inutile dire, però, che il personaggio più interessante dell'intera produzione risulta essere Anton Ego, la cui inflessibile critica culinaria prima porta allo sfascio il ristorante di Gusteau e poi lo celebra oltremodo, in un manifesto disinteressato delle incredibili sfaccettature che qualsiasi critica, qualsiasi recensione debba avere. Incredibile è che un tale accorato messaggio provenga dai naturali nemici di qualsiasi giornalista e recensore, gli artisti le cui creazioni sovente vengono passate più e più volte sotto la lente alla ricerca del minimo errore.

Per molti versi la professione del critico è facile. Rischiamo molto poco, pur approfittando del potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio, che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero, ad esempio nello scoprire e difendere il nuovo! Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti, e alle nuove creazioni. Al nuovo servono sostenitori!
Ieri sera mi sono imbattuto in qualcosa di nuovo, un pasto straordinario di provenienza assolutamente imprevedibile. Affermare che sia la cena, sia il suo artefice abbiano messo in crisi le mie convinzioni sull’alta cucina è a dir poco riduttivo. hanno scosso le fondamenta stesse del mio essere. In passato, non ho fatto mistero del mio sdegno per il famoso motto dello Chef Gusteau ‘Chiunque può cucinare’, ma ora, soltanto ora, comprendo appieno ciò che egli intendesse dire. Non tutti possono diventare dei grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque!

martedì 22 giugno 2010

Prova di Sinistra: Omaggio alla Catalogna

Ma che bella Sinistra sarebbe stata quella ipotizzata e promossa dallo scrittore George Orwell, ricordato certo per Animal Farm e 1984, ma il cui impegno morale, la sua concretezza politica meglio si dispiegò nei romanzi dei primi anni '30.
Tra Giorni in Birmania e Omaggio alla Catalogna, Orwell sperimenta un vagabondaggio in lungo e in largo, dall'India a Londra, dalla campagna inglese a Parigi: un vago istinto di fraternizzare con la povera gente, gli abitanti dei malfamati slums, un desiderio di "sprofondare" con essi condiviso da molti intellettuali. E quest'ultimi, tra cui lo stesso Orwell, si gettano a capofitto nella Guerra di Spagna, scoppiata nel 1936, con un carico di speranza: "almeno in apparenza - scrive Orwell - ecco finalmente una democrazia che resisteva al fascismo. Per anni, in passato, le cosidette nazioni democratiche avevano ceduto al fascismo a ogni piè sospinto [...] Sembrava - probabilmente era - il cambio della marea". Arginare l'intemperia nazi-fascista, mantenendosi per la prima volta dalla parte della ragione e della legalità.
Il nostro lo capisce dal primo momento in cui mette piede a Barcelona: giunto "con la vaga idea di scrivere articoli per la stampa, ma poi mi ero arruolato quasi subito nella milizia, perchè in quel momento e in quell'atmosfera sembrava l'unica cosa concepibile da fare". Sul finire del 1936 la città catalana era ancora in pieno fermento rivoluzionario e i partiti di estrema sinistra (anarchici, CNT e POUM, nelle cui file Orwell combatterà per l'intera esperienza spagnola) mantenevano una forte spinta sul morale di repubblicani e, perchè no, dei rivoluzionari: l'idea che l'attuale difesa del Governo democraticamente eletto avrebbe dappoi portato a una compiuta svolta socialista, egalitaria e solidale, ardeva negli animi di operai e contadini.
Prove di rivoluzione: Chiese ridotte a orinatoi, soldati fomentati dall'odio antifascista e trotskysta dietro istigazione dell'Unione Sovietica che tutto voleva fuorchè un'esplosione rivoluzionaria (lo stalinismo dettava la linea del "socialismo in un solo paese", mentre la Russia raccoglieva la disperata amicizia di Francia e Inghilterra, nazioni borghesi e capitaliste, onde scongiurare l'isolazionismo diplomatico), armamenti volutamente dimezzati e in pessime condizioni per evitare che gli "alleati" dei comunisti si tenessero le armi per un poi...
Da qui un certo sconcerto da parte di Orwell, il quale, pur riconoscendo l'emancipazione contadina che la guerra civile ha portato con sè, deve arrendersi di fronte allo spiraglio di vittoria, convinto di come in Spagna la rivalità scada più che nell'azione militare nella bieca politique politicienne.
"Lassù, sui monti intorno a Saragozza, c'era soltanto quel misto di noia e di scomodità che caratterizza la guerra di posizione. Una vita senza sorprese come quella di un impiegato di banca, e quasi altrettanto regolare", e poi il freddo, il fango, l'odore di escrementi in decomposizione, niente fiammiferi, fucili della Grande Guerra. "A mano a mano che passava il tempo e le sporadiche fucilate riecheggiavano tra i monti, cominciai a chiedermi con crescente scetticismo se sarebbe mai successo qualcosa per portare un pò di vita, o piuttosto un pò di morte, in quella guerra così strampalata. Era contro la polmonite che combattevamo, non contro gli uomini. Quando le trincee sono a più di cinquecento metri di distanza nessuno iene colpito, se non per sbaglio. Naturalmente avemmo dei feriti, ma la maggior parte di loro si erano feriti da soli".
Omaggio alla Catalogna è l'appassionato resoconto di una guerra che l'autore conobbe, suo malgrado, da vicino: tastando e la rivoluzione e la controrivoluzione, il calore e l'inefficenza ispanica, l'immobilismo della guerra di trincea e l'assurda lotta tra i vicoli di Barcelona nel Maggio '37, l'agiato lusso dell'albergo e l'inferno vissuto su una barella quando fu centrato alla gola da un cecchino fascista.
Orwell ricama un diario assolutamente prezioso, moralmente ineccepibile e politicamente distaccato, lettura imprescindibile per quanti desiderano addentrarsi al meglio in questa "prova generale" del Secondo Conflitto Mondiale, coi suoi entusiasmi sinceri e i suoi propagandistici misteri, netta prefigurazione della deficienza cui condurrà l'esasperazione ideologica.

sabato 19 giugno 2010

Pixar Files #1: Warriii(o)

Il sesso dei robot è più o meno quello degli angeli: cioè difficile da scorgere. Eppure l'unione platonica tra EVE e Wall-E non può che definire inediti connotati di genere: il primo/a saccheggia modi e forme agli spot iPod, il secondo si presenta come uno scatolotto analogico appassionato del ciarpame umano (un papà Weasley in circuiti e metallo) le cui campionature vocali inneggiano all'idioma giapponese.
Wall-E di Andrew Stanton (già regista di Finding Nemo) accoglie lo spettatore con una cinica favola ecologista, parla di abbandono e solitudine, ma poi sceglie di ricongiungersi a un roseo destino frutto di dedizione e magia. In una Terra ormai ridotta allo sfascio ecosistemico, un robottino si occupa di ripulire il globo dai rifiuti, ma lo fa con molta lentezza. Sai com'è, Brunetta non è lì dietro a sbraitargli ogni due per tre; è invece su una bella astronava a poltrire, mangiare, spettegolare, da qualcosa come settecento anni. Il genere umano è impossibilitato a ritornare sul succitato pianeta per le succitate condizioni climatiche: si è pian piano rammollito, messo su quintaletti ed ha abbandonato la stazione eretta in favore di comodi divanetti semoventi. Le macchine gli dominano la vita, gli portano cibo e bevande, lo rimbecilliscono con immagini digitali, lo pongono costantemente in un mondo digitale che rimbecillisce la realtà, jogging, fitness, calcetto e birretta, manco a parlarne: più o meno si avvera la profezia della società comunista di Marx secondo cui l'uomo avrebbe lavorato solo per autorealizzarsi, lasciando che le macchine si occupino della sua sopravvivenza. Brr...
Molto meglio affidarsi all'albero della pizza e fare ritorno verso casa, ricostruire la vecchia società e lasciare che Wall-E ed EVE possano spupazzarsi per bene nel minivan in cima alla collina. E che cavolo, ne han ben donde...

Il film intraprende coraggiosamente una mitigazione del parlato, ora ridotto al minimo, a frasi isolate, a dialoghi comunque raramente essenziali (eccezion fatta per il comandante dell'astronave). I due robot non parlano, si intendono a suoni, a rapporti criptati, eppure resi in maniera così dolce e amorevole. Di necessità musiche ed effetti audio entrano prepotentemente nella pellicola e fanno la parte del leone, tra melodie d'altri tempi e sintetizzatori odierni (il documentario tra gli extra del DVD illumina oltremodo).
Il lato b di tale riuscito mutismo risiede in una fattualità francamente esagerata e serrata, fatta di - oseremmo dire - situazioni scriptate e conseguenze precipitose.
Ma i comunque presenti difetti (il marrone non si addice mica alla palette degli artisti di Emeryville) non nascondono il vero senso di questo Wall-E che è la prova di maturità per Pixar: dopo fior fior di produzioni ammiccanti perlopiù agli infanti, che però oggistesso sbranano come Transformers e battono come Myley Cyrus, il fantascientifico esperimento di Lasseter e soci si basa su un recupero del cinema muto, dove le performance visive valgono molto più di boriosi dialoghi e altisonanti vocette. Senza parlare di quella commozione che subentra in maniera naturale a certe ben calibrate scenette.
UP poteva superare definitivamente l'ostacolo bimbiminkia in grazia del protagonista alla Spencer Tracy, ma poi, you know, si è rovinato tutto con sta storia dei cani aviatori...

venerdì 18 giugno 2010

Los Angeles 72010

Pretty stranger, eh?
Vivere con i piedi ben piantati nell'umile varesotto, donare il sangue nell'umile (?) Ospedale di Busto Arsizio, studiare nell'umi...dità milanese, ma avere cervello e (in parte, dai) fuso orario collegato con Los Angeles. Che poi come città non la hai mai considerata, troppo fricchettona, troppo Hollywood da una parte, troppe major discografiche dall'altra: a Ovest è un pò più in su di Las Vegas, un pò più in giù di San Francisco, ma sostanzialmente insignificanti tutte e tre se in confronto all'importanza del Far West.
Ma tra un Electronic Entertainment Expo 2010 buono, interessante, ma con qualche acciacco d'improvviso, e una emozionante finale NBA che ha avuto gladiatorio epilogo in gara 7, Los Angeles ha calamitato per i passati 5 giorni buona parte delle tue attenzioni e dei tuoi pensieri.

Dunque, l'E3 quest'anno ha marciato di buona lena sul rinnovato vigore della fiera del 2009, proponendo molti annunci esclusivi, inediti test di prodotti in dirittura d'arrivo e le prime speculazioni sul futuro. Hardware in primis, con i tre competitors scesi in pista per Kinect (l'ex Project Natal), Playstation Move e Nintendo 3DS. Il primo si è rivelato un immenso spreco di tecnologia: potenzialmente avveniristico, dotato di comandi vocali, rivelatori di movimento e comandi puntuali, Microsoft ha ben deciso di farne una piattaforma per casual game tra clonacci di Nintendogs, clonacci di Wii Sports, clonacci di Wii Fit. 60 minuti di conferenza pre-E3 per mostrare a giornalisti in sala e a casa quanto fosse gioioso scartavetrarsi i maroni con le più futili applicazioni e qualche demo tecnica che -come al solito - non uscirà giammai.
E' andata infinitamente meglio a Sony: si ma che conferenza lunga, borioso, scassaminchia, per un Killzone 3 in 3D all'inizio e un Twisted Metal/Gran Turismo 5 (cazzo esce. No, davvero. Non scherzo, il 5 Ottobre) alla fine. E' il Move? ok è un clone del Wiimote, assodato che è tanto quanto se non più preciso del Wiimote Plus, i giochi in sviluppo per costui sono...insomma...giochi vero. Sorcery, il simulatore di maghetto, funziona e potrebbe pure risultare divertente, Time Crisis Razing Storm (con tanto di conversione del quarto capitolo più Deadstorm Pirates, altro shooter on rail di Namco) c'è e pure tutta una serie di titoli che non vogliono guardare ai decelebrati che Nintendo ha istruito (ma allora, come li piglia i casual Sony? Saggia questione: entro la fine dell'anno avremo una prima risposta). Costa pure meno di Kinect (meno di 100 dollari tra Move ed espansione nunchuk contro i 149 dell'accrocchio Microsoft), mica male, neh signor Butler?
"Se io ho una bellissima fidanzata, e il mio amico ha una bellissima fidanzata. Sapete chi vince? Tutti", e chi ha orecchie per intendere intenda.
Ironia della sorte, Nintendo, dopo aver creato (in parte rovinato) il mercato casual con il suo Wii , spazzato via con noncuranza i suoi fedelissimi di N64 e Gamecube, si ripropone con una conferenza ottima e superba: due robette annunciato, Wii Party e Mario Sport staminchia, ma grazie a dio sfoderati solo in trailer, quando due tre anni fa avrebbero occupato tutta la conferenza, poi giù pesante con il nuovo Zelda Skyward Sword (il cui sottotitolo ancora non hai imparato a pronunciare) che mica funziona così bene (ritardi a parte, per il 2011 anche il telecomando del digitale terrestre potrà lanciare bombe in posizione fetale, dice Miyamoto), il nuovo Kirby, il ritorno di Donkey Kong Country (le holydays del 2010 appariranno grasse come quelle del 1995. Facce sognà Retro Studios!) e quindi il Nintendo 3DS: schermo treddì sopra, touch screen sotto, motion control, analogico (eheh) e una line up di demo tecniche che vanno da Starfox 64 a Metal Gear Solid 3, da Resident Evil a Zelda Ocarina of Time, da Dead or Alive 2 a Mario Kart, da Animal Crossing a Nintendogs + Cats. Di tutti questi non ne è stato mostrato mezzo, solo nomi che impreziosiscono l'inchiostro delle press release, ma in verità ad oggi basta il nuovo Kid Icarus in un platform che inspiegabilmente si fa Space Harrier. Ah già ci saranno film da vedere in 3D di Disney, Warner, non ci saranno occhialini da sole, ma solo boccettone di collirio, e nessuna data d'uscita nessun prezzo. Meglio si inizia sin da ora l'austerità per poterselo procurare al day one.
Poi ci sarebbero tredicimila altre news, video, contenuti da commentare, ma francamente lo han già fatto in maniera superlativa i colleghi di Everyeye sul posto.

Move in coppia con Tiger Woods PGA Tour 2011 (quello vero, non quello southparkiano). Ma due bunker in due tiri non è certo la miglior pubblicità per la minchiatina di Sony

Basta videogiochi, è tempo di basket. Domenica scorsa Boston si era guadagnata gara 5 nella sua dolce casetta e in infiniti cordoni preparava le valigie verso la costa del Pacifico. Beat LA, questo il motto.
Martedì sera a gara 6 invece sono stati i Lakers a vanificare il tentativo di concludere la serie e laurearsi campioni, quindi Boston sucks urlavano gli scalmanati dello Staples Center.
Ed eccoci qualche ora fa a gara 7: punteggio di 3 a 3, chi vince questa vince tutto. E così è stato: due storiche franchigie a confronto, due modi di intendere il basket a stelle e strisce. L'appassionato non poteva chiedere di meglio: le due squadre più forti in una scoppiettante gara 7. E così è stato davvero, una partita emozionante, serrata, avanti Boston, poi in pari Los Angeles. Commovente, emotiva, irrazzionale all'ultimo quarto, serve dignitosamente lo spettacolo di una pallacanestro che si conquista non solo a canestro, ma sotto di esso (magistrale Gasol), lontano da esso (Rondo che agguanta un rimbalzo, s'affanna fuori dall'area e piazza una tripla incredibile; Artest gli risponde subito di là con tre punti agguantati nella maniera più folle possibile) e poi in difesa. Kobe Bryant MVP delle Finals, ci può stare, ma sono stati i Lakers nel complesso a portarsi a casa il sedicesimo titolo NBA.

Si, son le 5:34 del mattino. Ma ne valeva la pena, ne valeva davvero la pena...

sabato 12 giugno 2010

Fantasmini sudafricani

Che ci volete fare? Proprio un bel nulla.
Ma avevam detto che non si sarebbe parlato di Mondiali sudafricani: "potrei riesumare l'argomento - mi autocito testualmente - solo in caso di vittoria italiana. O giapponese." Entrambi iniziano la loro avventura Lunedì venturo: JAP-Camerun ore 16, Parag(u)ay-Italia ore 20.30 subito dopo l'editoriale del Minzo nazionale, ma io non ho detto niente.
Facciamo, però, un'eccezione parlando dello spirito calcistico che deve proprio averti contagiato. La cerimonia d'apertura si è protratta secondo un ritmo serrato, ma generalmente sobrio, lungi dai millemila tamburi dell'Olimpiadi cinesi che tanto impensierirono Eric Cartman: al grido di "Welcome to Africa" e "This time for Africa" si è salutato il primo Campionato del Mondo in terra africana, trasformato da insigni antropologi come un ritorno agli albori della vita umana. Ok, cazzate grandicomjeunacasa...
Purtroppo l'assenza di Nelson Mandela colpito da un lutto familiare: avrebbe tanto voluto esserci, avresti tanto voluto vederlo con cappellino e maglietta verde oro come ai mondiali di rugby del 1994. Peccato, peccato davvero.


Poi è stata la volta del concerto d'apertura di fronte a 45 mila persone nel corso del quale si sono esibiti celebri gruppi pop tipo Black Eyed Peas, John Legend e Shakira. Proprio la cantante colombiana ha prestato fisico e voce all'inno ufficiale della manifestazione. Come al solito lasciamo spazio alle critiche: non è sudafricana, ci voleva una artista sudafricana, blablabla. E non mancano giudizi più "artistici", alla Garrison amicisiano: "Che poi sta Shakira, in ogni canzone che fa deve metterci sta cosa della danza del ventre? L'abbiamo capito: sei nana, sei bionda finta, sbattere il culo è l'unica dote di natura che si ritrovano le donne della tua famiglia da dodici generazioni. Ma c'è proprio bisogno? Non puoi cantare seduta? Con le braccia conserte?". Giusto, vero, ma la foto poco sotto a me cancella tali perplessità.
L'inno ha pure un nome. Tenetevi forti: Waka Waka. Che diamine eri convinto che fosse il verso dei fantasmini di Pac Man dalla versione nehanderthaliana a quella in tre d con occhialini, Playstation Move/Wand/come diamine si chiamerà dopo l'imminente E3 ed Iwatani sotto che ti fa un pompino (virtuale). E invece ha un corrispettivo sudafricano.
Il testo della canzone non lo ha capito, non lo vuoi capire: perchè già la linea di testo "Tsamina mina zangalewa Anawa aa" prescinde da qualsiasi costruzione grammaticale di qualunque idioma inventato dall'uomo, passato presente futuro.
In realtà la fischi la canti da ventiquattrore a questa parte e non t'esce dalle orecchie: sarà perchè ogni emissione televisiva te la propone, sarà perchè tutti fanno finta di non digerirla più (tipo "Domani" di Jovanotti sul terremoto d'Abruzzo). Ma in realtà racchiude uno spirito africano, colorato, gioioso, festaiolo, che ti sembrava ormai sopito specialmente nell'inglesissima Sudafrica dell'apartheid: colpa dell'Invictus di Eastwood, certo, con la sua fotografia opaca, a tradire una.
Dai dai, è Estate, arrivano i Mondiali, è giunto il momento di festeggiare, di godersi lo sport: e figurarsi se il Continente africano non sia in grado di trasferirti un pò dell'immanente entusiasmo.
Tsamina mina zangalewa Anawa aa
'cause this is Africa

Tsamina mina zangalewa Anawa aa

This time for Africa



venerdì 11 giugno 2010


Nessuna fiducia all'ostruzionismo esecutivo

Che E3 sarebbe senza Nutella?

LOS ANGELES - Cosa ne pensa lei del prossimo E3?
Beh, bizzarro...inconsueto. Ma poi mi mandate su Sky?
Insomma che dire, settimana prossima è la settimana dell'E3, l'imprescindibile evento per ogni videogiocatore professionista, bimbominkia fanboy. Che molto spesso le due figure trovano coincidenza.
Difatto si starà due/tre giorni a seguire conferenze in diretta, a dare del copione alla fazione opposta, e già che ci sei a sperare in qualcosa di ottimo, che possa realmente stupirti. Spesso e volentieri si parla di un seguito inatteso, un ritorno di fiamma. O altre volte è una nuova console, o anche una appassionante demo giocata. Se proprio si è in vena, una penetrante intervista.
Ma alla fine daje daje si ritorna a parlare di console war, la mia è più bella, io ce lo ho più lungo, tu più corto, tu a pera, io a mandarino, e così via così discorrendo...
Quest'anno, però, nonostante le lancinanti attese e le sfavillanti premesse, pare già diverso. Solitamente la settimana precedente è la calma piatta, notizie, comunicati stampa non pervengono: è ovvio che tutti gli occhi si calamitano già in quel di Los Angeles. Fervono i preparativi, le organizzazioni per coprire in maniera più efficiente l'evento...e invece quest'anno sarà certamente ricordato per la stranezza da parte di qualche publisher (Sony in testa) di rivelare taluni contenuti (trailer o financo annunci esclusivi, vedi Motorstorm 3) quando ancora le porte dell'E3 non si sono aperte.
Alla fine i casi sono due (e questo post mi sarà profetico): o si ritiene che la bolgia losangelina sia tale da oscurare tutti i riflettori su determinati prodotti (lights off su Killzone 3? Infamous 2? Se come no...) o si prepara il campo ad annunci di più ampia capienza su cui si vuole tutta l'attenzione (dopo lammerda PSP Go, sul fronte Sony si vuole parlare di PSP 2. Spero ardentemente di no...).
Nintendo offrirà il suo Nintendo 3DS (annunciato mesi or sono, ma mai presentato al pubblico nè come hardware nè come parco software. Un pò come fece Iwata all'epoca del primo DS) e Zelda Wii, mentre tutto tace sul fronte Microsoft, se si esclude la presentazione esclusiva di Natal Domenica sera (cioè notte. 4.00 AM ora italiana!!!).
Possibile che a questo giro davvero si parlerà di prossimi hardware dopo tutti i silenzi degli anni passati (nemmeno una sparata sul numero di paperelle controllate dal chip di Playstation 4 negli ultimi 12, 24, 36 mesi): dite davvero che la generazione più lunga alla fine sia pronta a lasciare il posto alla prossima. Io dico che se ne parlerà più concretamente solo l'anno venturo.
Ulteriori commenti a fiera conclusa o, se particolarmente impressionato, durante.

sabato 5 giugno 2010

L'Autore che cammina

Le sue 142 pagine sono state divorate. Ma pacatamente, serenamente.
Una foga tutta particolare nel leggere, nel percorrere le tavole. Un flusso emotivo continuo. Sapevi che Jiro Taniguchi fosse un autore molto bravo, atipico nel panorama fumettistico nipponico, ma non pensavi fosse un così grande narratore per immagini, capace di cogliere espressioni, tonalità, odori, emozioni uniche che ai più resteranno nascoste. E L'uomo che cammina (1990) è uno dei punti più alti della sua arte. E sopratutto un qualcosa che ti è penetrato dentro e da lì nemmeno vuole andarsene via.
Forse perchè ti identifichi con l'uomo che cammina, con quella curiosità per le piccole cose, per gli adori del quotidiano, gli umori ordinari: tant'è che appena chiuso il volumetto te ne sei uscito ed hai affrontato l'isolato con uno spirito nuovo, meravigliato per le liriche tonalità di Madre Natura ma anche per il rombo della Modernità.
Ti ritrovi anche nell'ambientazione, un sobborgo alla periferia di Tokyo che si scinde abilmente in arieggiati boschi e veloci arterie cittadine. E ti ritrovi pure nel pensiero di Taniguchi quando dice che "l'uomo che cammina è un uomo spensierato. Gli piace camminare con tranquillità", e poi "già, l'uomo che cammina è proprio un tipo strano".

giovedì 3 giugno 2010

Scheletri redazionali

Ah bontà divina. Solitamente siamo abituati a pensare alle redazioni di quotidiani e giornali come luoghi luminosi, ampi ed arieggiati: ci si siede attorno a una tavolata, si inizia a discutere, si prende un caffè, si flirta con la vicina in camicetta scollata e poi ci si alza producendosi in un susseguirsi di pacche sulla schiena. Più o meno va così nella sede romana di Repubblica, come mostra tale sequenza ospitata sul sito del quotidiano diretto da Ezio Mauro e del quale il Presidente del Consiglio non è un assiduo lettore.



E per quanto l'età media dei giornalisti di Repubblica pare assolutamente più bassa di altre testate, proviamo a vedere come avviene una riunione editoriale a livello molto più basso. Un insieme di ragazzotti che per passione si mettono insieme a scrivere di videogiochi, animati da insania giovanile, gettano via mail la lista di articoli da inserire in settimana. Chessò prendiamo Vgnetwork.it in Febbraio: come si decide cosa pubblicare Lunedì, cosa Giovedì?
Qui di seguito la risposta. Senza censure, come piace a noi...

Salve signore (ce ne fosse anche solo una) e signori,

come di consueto, la domenica notte faccio qualsiasi tipo di cosa eccetto dormire. Una di queste cose è, per l'appunto, stilare la lista uppaggi della prossima settimana. Ben conscio quanto poco ve ne possa sbattere della mia agenda quotidiana, passiamo a definire gli up della next week (come sono international, mi leccherei quando faccio così).

Di seguito, la lista nel dettaglio, per chi avesse problematiche con connessioni, menomazioni agli arti superiori, cavità anali e orali arrossate (i più zozzi), pantegane sottopelle, gomiti del tennista e/o escoriazioni nella parte retrostante lo scroto. Sono brutte cose, ne sono conscio.

[...]

Alcune precisazioni, per i più pignoli:

- [...], fatemi sapere se per mercoledì riusciamo ad uppare la rubrica. Mi auguro di sì, altrimenti vi aspetta una dolorosa - ma simpatica - evirazione.
- [...], come preannunciato, lunedì c'è Anal's Venture, se ci sono problemi nell'uppaggio per qualsiasi motivo, fammi sapere e/o mandami il pezzo che ci penso io. Oppure mia madre, a seconda delle condizioni climatiche di Berlino. No, lei non sta a Berlino, solo che volevo essere creativo nello scrivere un'idiozia.
- [...], attendo risposta per Starcraft II, pur consapevole che mi devasterai i maroni su MsN con la Juventus già da domattina. Ma ti voglio bene anche per questo.
- [...], attendo conferma per l'uppaggio della rece iPhone di giovedì. Marte, come già detto, c'è Mass Effect 2. Se ti serve una mano con la correzione, sai dove tromba..ehm..trovarmi.
- [...], attendo conferma per la retro, ma so già che non dovrebbero esserci problemi.
- [...], in settimana ti voglio caldo e bagnato che finiamo di imparare il Joomla. E poi facciamo sesso in cam.
- [...], ti voglio bene (l'amore represso viene fuori così, quando meno te l'aspetti).
- [...], sei un furetto. Non sapevo cosa cazzo dirgli, ma si sarebbe offeso se non l'avessi (ec)citato.

Postilla. Ci ho messo più tempo a scrivere tutte queste coglionate che a stilare la lista uppaggi. Potrebbe essere perché ormai sono un mago della lista uppaggi. Oppure perché mi dilungo sempre e costantemente nello scrivere tonnellate di stronzate inutili. Entrambe le possibilità sono adorabili, peccato che probabilmente la verità stia nella seconda.

Buon inizio settimana a tutti!

mercoledì 2 giugno 2010

Il tramonto del Sol Levante

Il primo Settembre scorso anche Romano Prodi al TG3 applaudiva il "miracolo" giapponese: l'esportazione del modello Ulivo è stata un successo, diceva più o meno così.
Dopo decenni di monopartitismo, con i liberali sempre al governo dagli anni '50, il Giappone aveva provato a cambiare direzione premiando l'interminabile gavetta del sessantatrenne Yukio Hatoyama, leader del Partito Democratico. Due i punti in programma: affrontare la crisi, scacciare gli americani da Okinawa.
Col senno di poi era un progetto politico più zoppicante di quanto si pensasse, perchè non puoi avviare un esecutivo progressista, fortemente ispirato ai valori di giustizia sociale dei Democratici di Obama, per poi ingaggiare una ferrea contrapposizione per lo smantellamento di una delle basi militari statunitense imposte al Giappone dopo l'armistizio dell'Agosto 1945. Una delle tante, ma la più contestata (episodi di stupri e violenze, offese ai "musi gialli": sappiamo quanto i giapponesi tengano al proprio onore), la più imponente (occupa gran parte dell'isola, con 8 mila soldati), la più strategicamente rilevante (guarda proprio in faccia Shangai: da qui partivano i caccia USA durante la guerra del Vietnam).
Hatoyama ci ha provato sino all'ultimo, di mantenere la promessa elettorale, risollevare la testa di fronte al fiero conquistatore, ma stamane si è presentato di fronte all'assemblea di partito col capo chino: "La cooperazione tra il Giappone e gli Stati Uniti è indispensabile per la pace e la sicurezza in Asia orientale e sono stato costretto a chiedere alla gente di Okinawa, con mio grande dispiacere, questo onere". Fine dei giochi.
Sarà dura per il Partito Democratico affrontare tale annosa situazione: la prossima settimana si proverà a presentare un nuovo esecutivo al Parlamento, nella speranza che lo scoglio delle elezioni parziali al Senato del prossimo luglio possa solo colpire marginalmente la flotta di Hatoyama e soci. Una maggioranza liberal-conservatrice in uno dei rami della Camera rappresenterebbe un ostacolo difficilmente arginabile, una logorante battaglia contro l'ostruzione parlamentare che vanificherebbe quei propositi di riforma di cui il moderno Giappone ha disperatamente bisogno.

Nodi culturali

E nel frattempo il nodo della crisi non si è sciolto, anzi ha eroso maggiormente l'economia nipponica: dipendendo molto da esportazioni (di prodotti tecnologici e automobilistici) e importazioni (materie prime), la difficile congiuntura di Eurolandia non ha certo permesso di rialzare la testa, portare avanti quella politica progressista a lungo sospirata da larghe frange della popolazione. Anche perchè la crisi prima ancora che economica è mentale: la perdita del predominio in Asia orientale rispetto ai cinesi, la crisi di valori e l'abbandono delle tradizioni. Sono questioni che impensieriscono i giapponesi che negli ultimi anni hanno visto un generale declivio dei loro sogni di gloria, una battuta d'arresto all'incontenibile boom economico della seconda metà del Novecento.

martedì 1 giugno 2010

Tutti dicono I love you. Tranne Moccia

Anacronistico, surreale, financo magico.
Non che Woody Allen non ti suggerisca gli aggettivi, ma il Tutti dicono I love you del'97 suggerisce proprio questo.
Commedia-musical dal sapore antico, vagamente attaccata a stilemi classici (ci dicono intellettualmente pregnanti. Sarà...), dall'assoluto accento onirico: sotto la lente di ingrandimento tresche amorose, coppie impensabili, assurdi coinvolgimenti sentimentali. Credi che siano tutti pazzi i personaggi di Tutti dicono I love you, nevrotici è il vocabolo più adatto.
Materiale perfetto per un film, anzi no per "un musical. Sennò nessuno ci crederebbe". Dunque Allen che si innamora della Roberts raccontandole fandonie, informazioni fattesi passare sotto banco dall'analista di lei: ti porterò a Bora Bora, ti soffio suadentemente tra le scapole, adoro il Tintoretto, corricchio tutte le mattine tra i calli di Venezia. Poi la Drew Barrymore deve sposare un aitante ragazzotto ricco sfondato ma si innamora di un galeotto, sessualmente represso, che ha le fattezze di un Tim Roth (fuorilegge stimatissimo da fior fior di registi prima del Novecento di Tornatore). La figlia di Allen, Natasha Lyonne, si innamora dei tipi più svariati: vede un ragazzotto italiano in vacanza a Venezia e lo vuole sposare il 15 Gennaio, conosce un tipo all'aereoporto, abbandona gondola e pastasciutta per un fugace amore sul taxi, per poi lasciarlo in favore di un rapper che ha la bontà di dire quello che pensa.
Fanno sorridere tutti questi pazienti della clinica dell'amore, ma a ghignarsela di gran gusto è Woody Allen che sigla un'altra commedia affascinante, sprigionando sentimento e buonumore all'interno del triangolo amoroso: Venezia-New York-Parigi.
E la morale? Dolore o spensieratezza? Fai così: prima la seconda, attendi attendi finchè non giunge il primo, ma poi sta tranquillo la seconda ritorna. Claro...