domenica 28 febbraio 2010

(Non) piove sul bagnato

E' il week end di Heavy Rain.
E' il week end in cui infine il videogioco si è arreso. Si è arreso a pretese narrative tali da ridurre l'impianto ludico a un susseguirsi di QTE. E non basta sinceramente a rispolverare l'abominevole categorizzazione del "film interattivo" per giustificare l'esclusiva Playstation 3.


E' invece, per l'Autore, il week end di Sonic and Sega All Star Racing. Che è un capolavoro, o comunque un titolo che appaga, diverte, coinvolge. Terribile il frame rate (nessun miglioramento rispetto alla demo), ma rimane comunque il migliore (e il primo decente) racing game con protagonista Sonic. E la variopinta cricca Sega (incluso quel "tenerone di Casa Modena" di Ryo Hazuki).
Non male per Sumo Digital, che interiorizza tutti, proprio tutti, gli insegnamenti appresi con le conversioni di Outrun 2 e Outrun 2 SP (il 2006).
Il level design è squisito, i power up intriganti e lo schema di derapata ricalca (in versione semplificata) il racing game di Yu Suzuki. Cosa chiedere di più a un grande racing game Sega?
Che è, infine, un vero videogioco, genuino, non dispersivo e non cinematografico.


Ordine. Disordine. C'è chi crea e chi distrugge. Ma come fare i conti con l'innovazione? Essa è una rivoluzione, un punto di rottura epocale con la tradizione precedente. Essa soddisfa molti, scontenta molti altri (lo abbiamo visto in Russia). E quindi? Che fare? Si va avanti o si resta ancora all'indietro? La si attende questa benedetta innovazione? o la si plasma, la si fa, pian piano, con impegno? La si prepara diplomaticamente? o la si prepara violentemente?
Metti ordine ove c'è disordine: riappropiarsi di una metodologia che inviti alla tranquillità deve essere cosa prioritaria. Ma come la si coniuga con un fermento intellettivo/emotivo/fisico? Come, come, come...

mercoledì 24 febbraio 2010

L'attinia tra cielo e Tokyo Blues

A fare il pigrone ci si guadagna sempre. Spesso. Beh, mai, anche perchè se lo sa Merton poi ti considera un deviato...
Dicevamo: mentre inforcavi la tua bicicletta lungo viale Sempione, ti attendevi seriamente che una testarossa ti avrebbe rombato accanto e il caccia di Afterburner sarebbe sfrecciato sui cieli del feudo lumbard. Quell'azzurro che nella realtà non esiste (quasi) mai, ma tratto distintivo dei videogame della Sega. E, per qualche motivo, domina l'electronic town di Tokyo, Akihabara...
Lo si vede espressamente dal video musicale Akihabara Majokko princess, diretto da McG (quello di Terminator Salvation. Ecco...) e prodotto dall'artista Takashi Murakami (espressione di spicco della corrente Superflat, molto colorato, pulito e assai elegante: troviamo traccia di questa concezione artistica nel pluripremiato Summer Wars).
La vera star, però, è lei: una Kirsten Dunst vestita da marinaretta con una parrucca azzurro cielo. Una Sailor Moon che finalmente riesce a sembrare anche sexy, e non quella ragazza con l'espressione da attinia degli Spiderman.
L'altra grande star è il quartiere di Akihabara con le sue stranezze, i suoi diffusi richiami erotici, le sue luci, i suoi colori (bontà del cinema). E anche il Club Sega.
Turning Japanese è la canzone: una cover dei The Vapors. Che, a dispetto del nome, esistono davvero. Ma sono da qualche parte, in un angolo di cielo tra il varesotto e il Kanto...



Il video censurato tale da essere digerito dai filocomunisti di Google. Non vi deve risultare difficile trovare la versione originale sulla rete...

martedì 23 febbraio 2010

I'm up in the air


La pellicola Tra le nuvole non è necessariamente argomento inedito a queste latitudini, quando cioè a pochi giorni dall'uscita si era parlato della canzone in sottofondo al trailer della pellicola. Ma del lavoro di Jason Reitman (figlio di quell'Ivan che ci ha dato, tra i tanti, Ghostbusters), già regista di Thank You for Smoking e Juno, non si era fatto menzione.
Ed è un gran peccato, cui si pone oggi degno rimedio. Perchè Tra le nuvole è una commedia ben impostata, che vive di una sceneggiatura serrata e assolutamente indispensabile. Non è la teatralità di Leoni per Agnelli, ma Reitman ha evidentemente sacrificato buona parte della propria verve fotografica (i bei colori di Juno, che si alternavano di stagione in stagione) e registica (ma solo in parte: memorabile la scena del matrimonio che ricalca la scarsa professionalità dei filmini tipici di tali ricorrenze: quantomeno si cerca l'effetto di una camera un pò mossa, frutto quindi del naturale tremolio della mano che non permette di "mirare" al meglio o di mettere a fuoco), in virtù di dialoghi abbastanza lunghi e ritmati da brillanti scambi di battute. Più che a Juno (al quale molti critici han erroneamente guardato), bisogna ritornare con la mente a Thank You for Smoking: difatti Tra le nuvole, pur avendo un argomento attuale (la crisi economica e i continui licenziamenti) ha una scrittura che perdura da una decina di anni (il romanzo ispiratore è del 2001), creando quindi bizzarri empasse che occasionalmente si insinuano tra le battute (non dirò quali esattamente, anche perchè molti di questi permangono nel sentire comune anche dopo così tanto tempo).
Juno rimane prettamente il suo capolavoro, frutto anche di quella sceneggiatura pervasiva di Diablo Cody che individua espressamente la comicità in quell'alone di normalità che era proprio di ciascun personaggio: Tra le nuvole piuttosto vive di stereotipi, di personaggi ritti, rigidi, impettiti, con una evoluzione emotiva incanalata su binari già prestabiliti. Niente scambi...
Sono uomini surreali, che vivono la loro vita praticamente in viaggio (questo vale sopratutto per Ryan Bingham, interpretato da Clooney), non hanno una casa, trascorrono il tempo tra un viaggio in aereo e l'altro, "accerchiati" negli aereoporti degli USA: alla lontana si può tentare un paragone con Novocento de La leggenda del Pianista sull'Oceano di Tornatore. Dalla banalità dei rapporti che si instaurano tra i tre personaggi principali (tutti nominati per l'Oscar, per quanto la migliore rimane assolutamente Anna Kendrick, liberatasi eccellentemente dal pantano di Twilight) deriva una comicità decisamente sopra le nuvole, lontana da qualsiasi altra caratteristica: non è necessariamente scevra dalla battuta ad effetto, ma nemmeno si nutre di un gusto per la farsa e il grottesco. Rimane sospesa, come i suoi interpreti, in grazia dei ruoli moralmente discutibili che incarnano (Clooney e la Kendrick sono dei "tagliatori di teste", ingaggiati da società che non hanno le palle per licenziare i propri decennali dipendenti), da cui deriva una fragilità nel voler impegnarsi e mantenere stabili relazioni (non svelerò di certo l'epilogo del film...).
Non ha quella tematica di Juno capace di dividere e aizzare le folle, ma nondimeno Tra le nuvole è vicino al quotidiano: ecco, la grande rivelazione che Reitman ci propone risiede nella dicotomia, oserei dire romantica, tra una vita ordinaria, certa, stabile e una eccezzionale, improvvisa e fuori dalla norma. Tutto propende per la seconda situazione, ma, eh no, stavolta la mia idea non la cambio...


P.S. Un siffatto coacervo di parentesi (stavolta sono davvero troppe!) non può non concludere un microappunto finale. E' nelle fasi iniziali del film che la sorella di Ryan lo esorta a fotografare un cartonato dell'altra sorella con il futuro marito in giro per le città d'america: "come nel film francese con il nano che fa le foto in giro per il mondo". Lei ne sa qualcosa, signorina Poulain?

domenica 21 febbraio 2010

Davide Van De Sfroos Show

"Gira il mondo, gira il disco"

E' un mondo strano quello di Davide Van De Sfroos, ma non ha nessuna remora a metterlo in scena a teatro e portarlo in giro per mezza Lombardia (Como, Bergamo, Brescia, Varese,...). In uno show che sappia coniugare "musica, territorio, immagini, parole", esperienze comuni e aperte divergenze. E' un uomo, prima di tutto, che ha un radicamento straordinario nel territorio, ma non ha nessuna intenzione a regredire culturalmente nella regione del laghi: la sua musica la porta in giro, la orna di splendide melodie, ricerca una poetica universale. "Da dove nascono le canzoni?" si domanda.
Legge Shakespeare e lo traduce in dialetto: la gente ride, sorride, ma, porca vacca, questa è una dichiarazione d'intenti. Alla frontiera con la Svizzera: "qualcosa da dichiarare?" "Guerra alla Svizzera" dice l'uomo distrutto. Lo fanno passare per pietà. Racconta di quel mister Gorsky che ebbe la sua dissacrante rivincita su Armstrong. Che fortuna che il figlio dei vicini camminò davvero sulla Luna...
Mette volentieri in gioco le sue convinzioni: ironizza sull' "arida sponda" del Ticino (mette in rap Marzo 1821 del Manzoni) e disvela la retorica dell'Addio Monti ("ma te devi andà a Munza..."). Parla con ingenuità, cerca, percorre, trova...
Ma dopo aver tanto parlato capisce che è ora finalmente di imbracciare la chitarra: e via a prendere la curiera, in un crescendo di sonorità ora blues ora (simil) islandesi, ora canta la ninna nanna al contrabbandiere, e non si ferma: la balera conclude di fatti il concerto. Ma la grande richiesta del pubblico lo esorta a suonare una canzone "il cui titolo è più o meno questo"...la ballata del cimino.
Immagini di ciò che siamo e di ciò che eravamo. E semm parti...

poscritto: non erano nè la festa a Pontida e nemmeno la sagra della polenta taragna, ma l'intellighenzia leghista era presente in massa. E così il terùn diventa "diversamente settentrionale" e giù a ridere in maniera fragorosa ed eccessiva. Porta il vocabolario D'Angelo-Bernasconi per comprendere quanto dice una napoletana. E giù a ridere...
Ma abbiamo capito: il dialetto, caro Davide, è solo l'inizio...

venerdì 19 febbraio 2010

Il segretario operaio

La sinistra chiede la testa del sottosegretario Bertolaso volendone fare un caso ora mediatico ora politico: inutile dire che sarà l'ennesima occasione sprecata per questi comunisti moderni. E così il capo della Protezione Civile in un'intervista concessa a Panorama ironizza: "se arriva un terremoto chi spala? Bersani?".
Ma la smentita arriva pronta e secca dal segretario del PD: "a Bertolaso consiglierei un po' più di umiltà meno arroganza e di volare un po' più basso, perché con me capita male: io a quindici anni spalavo a Firenze, non so lui cosa facesse". Si riferisce ovviamente all'alluvione del 1966, in cui l'Arno esondò e causò 34 vittime (senza contare i danni agli inestimabili edifici artistici). Il compagno Bersani era lì in prima linea per dare una mano al popolo come volontario. Per provarlo ecco pronte le foto su Flickr, che hanno fatto il giro del web: ne trovate due qui di seguito, con indicato il comunista con quel cerchio bello rosso.
Ci sono analogie tra questa evenienza e la situazione attuale: 44 anni fa eliminava i cocci di una città invasa dal fango, ora tenta invano di raccattare i cocci di una situazione a sinistra totalmente disastrata. Dopo le Regionali sarà bene che Bersani si rimbocchi le maniche, estragga nuovamente la carriola e spali un pò di questo fango che viene dall'Est...



giovedì 18 febbraio 2010

Per un pugno di note


Guardate attentamente questa immagine.
Cosa vedete? Beh semplice, Clint Eastwood che cavalca verso San Miguel in una delle prime fasi di Per un pugno di dollari (di Sergio Leone, 1964). In sottofondo, la sentite, echeggia il tema leggendario del film composto da un giovane Ennio Morricone, che trasferisce tutto l'ambaradan musicistico in un remoto angolo di Spagna e lì, fianco a fianco al regista, da origine al vecchio West. Quello vero, mica quella prosopopea nazionalista con Gion Vaine in cui si falcidiavano indiani a manetta. Leone con Per un pugno di dollari assimila l'orgoglio fumettistico del Tex di Bonelli dando vita a personaggi carismatici, ma complessi dal punto di vista interazionale: mette il protagonista (Eastwood) tra due famiglie rivali, gli fa fare il doppiogioco, lascia che si annientino a vicenda, diventa ricco e infine se ne va.
Si diceva dell'immagine: io vedo specialmente aridità (di valori) e assenza di legge, e per me l'intera iconografia western risiede interamente in questo scatto. E' immenso il lavoro di Sergio Leone: con una solo produzione risollevò interamente una visione della corsa all'oro di fine Ottocento, svoltando la retorica patriottica e razzista nel mito della frontiera popolato da uomini carismatici e psicologicamente complessi.

I giapponesi scelsero l'immagine di qui sopra come locandina ufficiale del film, poi proposta anche sulla loro versione della colonna sonora (simpatica la scritta in ideogrammi). Per quanto l'atmosfera western possa apparire così distante con l'immaginario nipponico, in realtà i due universi cinematografici erano in perfetta sintonia. Nel 1961, infatti, Akira Kurosawa lavorò a Yojimbo, in cui pose il suo feticcio Mifune nei panni di un ronin vagando per villaggi che effettivamente sembravano richiamare l'estetica western. Sergio Leone nel dirigere Per un pugno di dollari deve aver avuto presente il film di Kurosawa (che da regista affermato, ormai osava contaminare un pò troppo le sue opere...), ma ciò non toglie il poderoso stacco che il film italiano compie rispetto alla filmografia western americana.

Il paradosso di Sahz (nell'infernale inferno di Dante)

La sindrome di Nomura ha colpito ancora: dopo il personaggio afro Sahz, spalla umoristica di Final Fantasy XIII, un altro individuo dalla pelle "un pò troppo abbronzata" diventa l'emblema di un videogame e appare sulle scatole dei cereali. Manco fosse Joe di Maggio...
Le ragioni sono totalmente sbagliate: Electronic Arts dopo aver preso ad asciate un poema, scorticato vivo il dio della guerra, si diverte a prendere per il culo il popolo dagli occhi a mandorla. Dante's Inferno è in procinto di sbarcare in Giappone (la certezza è che, almeno laggiù, non sbancherà...) ed EA ha trovato un testimonial. Una genialata...
Vedere per credere....


Il figuro, vestito dell'armatura da crociato del padre della terzina incatenata, reca in mano la copia PS3 del gioco e una tazza ove versare i corn flakes, non prima del latte ovviamente...
Aldilà della ridicola tenuta, quest'uomo ha una particolarità: è negro!!
Cioè cioè, un Dante di colore? Manco fosse una pallida popstar...
Ma piano, ehi, EA ha una valida spiegazione: quest'uomo che forse prende un pò troppo sole in quel di Miami di cognome fa Carver. E di nome Dante. Già.
E' una delle star del telefilm White Family, che già di per sè non giustificherebbe un attore di colore. Il razzismo non c'entra, è il melting pot forzato che infastidisce. Fermo restando che, Brutal Legend a parte, Electronic Arts per l'Autore non ha motivo d'esistere...

domenica 14 febbraio 2010

Cry of the banshee: come far fuori ragni metallari

Già, con l'ordine fatto il trentunesimo giorno del dodicesimo giorno del duemilaenove, lunedì la simpaticissima bustina di play.com ha recapitato l'atteso (auto)regalo di Natale. Ma perchè le spedizioni da nippolandia e comunistlandia giungono in dieci giorni scarsi, mentre le giubbe rosse ci impiegano quasi due mesi? (io non mi lamenterei così tanto del littorio servizio postale. Con lui le missive arrivano in orario...).
Fortunatamente, però, anche se di questi giorni non c'è nulla da festeggiare (e la Quaresima è proprio dietro l'angolo, così come la Mariolina si prepara a chiederti perchè perchè la burocrazia è inefficiente), Brutal Legend, l'attesissimo nuovo videogame di quel genio di Tim Schafer (già autore di Grim Fandango, Secret of Monkey Island e nientemeno che Psychonauts), è di per sè una festa. Non già un'orgia grafica, ma un colorato affresco sul mito perduto del metal anni '70 (dei primi anni settanta). E se l'Autore in tale contesto non può nascondere la sua ignoranza e la sua impreparazione, è altresì vero che qui (dopo due giorni di gioco), in questo mondo brutale, ma "a suo modo figo", ha ritrovato un pò il sorriso.

Power of metal

Gli dei del metal lo hanno irretito in un crescendo di lucida ironia e investimento di creature che dagli schizzi di sangue sembrano cervi. Brutal Legend a prima vista pare una commistione di generi, sembra uno Zelda, ma l'insistenza free roaming della sceneggiatura lo incanala su altri binari. Con il proseguimento dell'avventura si potranno tendere ulteriori giudizi e segnalare alcune divertenti battute che già si sono raccolte sul taccuino.
Per il momento l'epico combattimento con questo ragno di metallo si è rivelato una figata assoluta (anche se tutt'altro che difficile. Difficile piuttosto capire quali attacchi ne scalfivano la lucente corazza), grazie al sottofondo di Cry of the Banshee dei Brocas Helm (mai sentiti, ma qualcuno la fuori li conoscerà senz'altro...). E' già fucking awesome al solo ascolto, figurarsi con in mano un'ascia a debellare con epica forza orde di ragnetti del cazzo.


sabato 13 febbraio 2010

Tutt'altro che (para)normale

Paranormal Activity è questo film che inizia "dopo 20 minuti" e finisce senza nemmeno mostrare i titoli di coda. Che sinceramente bramavi di sapere il nome dell'attrice che interpretava l'amica piatta della tettona. E che poi il numero di un demonologo può sempre servire. Paranormal Activity comunque è anche questo sparatutto in prima persona ridicolo: niente armi (brivido Mirror's Edge), niente nazisti (una creatura invisibile???). Cioè... Ma forse, è questo lo si capisce solo alla fine, Paranormal Activity è una pellicola cinematografica e il cinema The (fuck) space (nuovo nome della catena Medusa...pare...) è davvero una sala cinematografica.
E comunque la produzione filmica in analisi è una buona produzione, per quanto ti hanno costretto con la forza e con l'alcool a posare gli occhi sull'inconsueta vita di due nullafacenti, nullatenenti, uno bamboccione nerd fino al midollo, l'altra gnocca ma prostrata a una inevitabile carriera di insegnante (il finale del film lascia però interessanti speranze per tutti quei precari della scuola. Il posto c'è!). Sembra uno scherzo o un giochino erotico quando lui acquista una telecamera professionale per filmare tutte le manifestazioni paranormali che avvengono nella loro casa con piscina e margaritaville: e in effetti le prime notti passano tranquille tra approcci di natura sessuale, perline e lezioni di sumero. Poi questa creatura invisibile inizia a fare il loro stesso gioco: scatta fotografie. In un crescendo inevitabile...
Paranormal Activity adotta questo nuovo filone degli horror inaugurato da Rec e da Cloverfield attraverso un girato interamente in camera a mano dove gli attori si fanno registi si fanno cameraman: una tecnica che svela nuovi retroscena al genere con minore dispendio (efficienza Weber, efficienza). Le recenti iterazione orrorifiche difatti si aprivano a dettagli porno-soft, aberranti esperimenti genetici che scadevano sempre più nella parodia (l'ultimo scary movie, il quarto, uscì nel 2006: è un dato che deve far riflettere sullo stato del genere, vessato ormai da inarrivabili traguardi tecnologici, effettistica speciale e deboli caratteri 3D).
Paranormal Activity nel suo farsi documentario racconta la vita di coppia e questo lento deterioramento psichico e fisico dei due: lo spannung lo si raggiunge quando si percepisce la dimensione diurna della minaccia demoniaca, ma è difatti nel contesto notturno che paranormal activity vuole sorprendere lo spettatore e non ci riesce. La reiterazione di determinati comportamenti, l'inevitabilità di intromissioni nel talamo e le banalità di lampadari che scricchiolano e porte che sbattono annulla (o quasi) l'effetto paura. Con sommo peccato. Via via si dilegua l'approccio "scientifico" e "documentaristico" alla faccenda: tuttavia permane la tensione quando si percepisce la solitudine e l'incapacità di ottenere aiuti da parte dei due fidanzatini.
Il sensazionalistico finale ve lo racconta il ministro Bondi, ma in verità anch'esso si rivela banale: le molteplici interpretazioni, tutte poggiate su quella base razionale vero pregio della pellicola, che si possono fare non nascondono la delirante conclusione, che prepara l'inevitabile seguito (forse già in uscita quest'anno).


sabato 6 febbraio 2010

Malena, o il conato della Bellucci o il senso di Tornatore

Due anni dopo l'immensa apertura americana di La leggenda del pianista sull'oceano, Tornatore si appropria nuovamente della sua Sicilia e ce ne restituisce l'ennesima porzione, l'ennesima impersonificazione dello spirito trinacrico. Con Malena (2000) infonde la carnosità e la sensualità tipica delle donne castane e formose della nostra bella isola in Malena fresca moglie di un ufficiale dell'esercito italiano, interpretata da Monica Bellucci, che diventa una formidabile icona per il paesello di Castel Cutolo, laddove l'attrice era allora come oggi una tra le donne più ambite e desiderate del globo intero. Tornatore è alquanto abile nello sfruttare il suo corpo sensuale e nel limitare al minimo le parole così da farne la sua migliore performance attorale di sempre.
Il tredicenne Renato Amoroso (interpretato dall'esordiente Giuseppe Sulfaro) conosce attraverso una morbosa ossessione per Malena il sentimento amoroso e ne è da subito rapito, sbigottito, ma al contrario delle "malelingue che sparlano sempre" in paese, lui è sempre pronto a difenderla fino ad assecondarla in un turbinio erotico veramente efficace: "l'amore vero è solo quello non corrisposto - annota in segreto il protagonista - ora capisco perchè. Ormai è tanto tempo che non vi vedo uscire di casa, eppure il mio amore per voi più è lontano e più è grande". L'invidia dei compaesani è una brutta bestia e nella fattispecie quella femminile è assai spietata, per quanto sono più gli uomini ad attribuire alla desiderata più d'un amoretto.
Stilisticamente intervengono con forza il senso dell'olfatto, a restituire i sapori della terra di Sicilia e del suo simulacro filmico (qui la Bellucci), mentre all'udito è assegnata la peculiare funzione di narrare l'evoluzione storica che fa da sfondo alla vicenda (dalla retorica fascista e interventista del celebre discorso del 10 Giugno di Mussolini, passando poi per canzonette come "Ma l'amore no", il tragico computo dei morti, la spietata parlantina nazista, la fulminea dizione statunitense, il rassicurante calore popolare). Tale eclettico uso del sonoro sopperisce un Morricone inspiegabilmente piuttosto confusionario, istituzionale e monocorde: manca qui quell'esplorazione del sentimento che si era vista appena due anni prima con La leggenda del pianista sull'oceano (vedi il brano Playing Love).
Un appunto si deve sicuramente tendere all'uso del cinematografo, elemento centrale in altre produzioni, prima fra tutte Nuovo Cinema Paradiso: in Malena Tornatore è infinitamente più discreto, abbandonando addirittura l'idea di luogo massimo di aggregazione (le sala cinematografica è sempre perlopiù vuota) e sopratutta non vi è quella forma di narrazione entro la narrazione attraverso le pellicole proiettate. Piuttosto il protagonista si immagina continuamente Malena come coprotagonista femminile al suo fianco in molte classici cinematografici (un western, uno storico su Cleopatra, una sorta di King Kong, un Tarzan): il cinema come catarsi, sogno infinito e reitarata fantasia.
Sopra tutto si erge una fotografia affidata alle esperte mani di Lajos Koltai, che dipinge il periodo fascista con toni cupi e luce soffusa (tutt'al più squarcia la tenebra una luce rossa, ma come si vedrà è tipica della depravazione del bordello), per poi staccare con nettezza alla caduta del regime sfoderando una tavolozza colorata e gioiosa, un tono poetico di rara bellezza, capace di trasformare l'aridità del paesaggio siculo in emozioni che colpiscono direttamente il cuore, fino a quel memorabile scorcio finale grande come un lungo lunghissimo abbraccio.


Irlanda-Italia: i dragoni la spuntano al Croke Park

Al Croke Park di Dublino, tempio del football gaelico, più di ottantamila persone erano assiepate per l'inizio di uno dei tornei più prestigiosi dell'europa rugbystica, il Sei Nazioni. La partita inaugurale (che ha preceduto di un paio d'ore il match a Twickenam Inghilterra - Galles) ha visto la squadra campione uscente (l'Irlanda appunto) contro una caparbia compagine italiana guidata da coach Mallett.
Ora, non per fare i disfattisti, ma si era certi che si sarebbe trattato di una partita a senso unico: per quanto nei primi minuti l'Italia ha cercato di indirizzare la sfida sul piano fisico, le ripetute punizioni dei verdi hanno messo in evidenza la superiorità dell'Irlanda, che si presentava a tale incontro con le impressionanti statistiche dello scorso Sei Nazioni: maggior numero di calci, maggior numero di passaggi, che per certi versi contrastano, per altri rafforzano la straordinaria compatezza del suo pack.
L'Italia in quest'ultimo caso può vedersela ad armi pari con l'Irlanda, ma è nelle ripartenze, nei virtuosi cambi di palla che la squadra italiana appare sbigottita. Non ha giocato malaccio, specialmente in difesa ha bloccato più di una insidiosa incursione, ma il 29 a 11 è un risultato che fa meditare sulle carenze in attacco (difatti una sola, ben escogitata ma fortunosa, meta). Certamente non è l'Irlanda l'avversario da battere, almeno non adesso: il cammino di crescita degli azzurri, sostenuto da un tifo e un interessamento (si spera) crescente, verso un gioco immensamente più fluido e dinamico diviene sempre più realtà di partita in partita, grazie anche a una determinazione dei ragazzi di Mallett sempre maggiore.
Lo stesso coach neozelandese a fine gara prova a spronare i suoi a fine partita: "nella ripresa invece abbiamo messo in mostra una grande difesa: nonostante loro abbiano avuto l'80% nel possesso, hanno fatto solo sei punti. La nostra organizzazione difensiva è stata buona ma era difficile vincere dopo aver preso 23 punti nei primi 40 minuti in casa dei campioni in carica".
Per l'Italia l'attenzione si sposta la prossima domenica dove incrocierà battaglia con l'Inghilterra: l'obiettivo primario di Mallett in questi sette giorni è di "migliorare la touche", il tallone d'Achille di questa Italia in questo primo incontro del Sei Nazioni.


Bergamasco osserva attonito la touche irlandese: gli ottantamila là dietro non ha invece bisogno di insegnamento alcuno

venerdì 5 febbraio 2010

Un rosso Ryu Hazuki tra storia e preistoria

La nonnetta vien dalla campagna in sul calar del sole col suo cagnaccio al guinzaglio: è la via della chiesa, sfotte. E ritorna a vivere la sua insulsa esistenza da Png nella tua vita.
Svoltato l'angolo forse ancora si trova un ignoto vecchietto o una strada nuova e sarò condotto dalla fortuna a est del sole a ovest della luna: Thaon De Revel, è quella via che incrocia. La pronuncia è terribilmente milanese, per quanto il malafemmiano "se ghè" non è stato pronunciato. In fondo, in fondo... Verso sud quindi, direbbe il compagno Vendola.
Finalmente il cancello è inequivocabile: il logo Nintendo e i cartonati di Monster Hunter Tri conducono al luogo designato, ancora meglio delle briciole di Pollicino. Si conclude così la parte esplorativa: where is Wan Chai? I'd like to reach Wan Chai. E puntualmente quei cazzo di vecchietti assumono una posizione sprezzante e superiore solo in questi casi: ugualmente per noi imberbi sono una risorsa preziosissima per perpetrare il nostro cazzeggio giovanile.
Ha ora inizio la parte sedentaria, una lunghissima cut scene che vede prendere posto l'Autore (dietro dei bimbiminkia sudaticci e con la maglietta degli Iron Maiden, davanti un biondiccio altuccio, ingombrante col suo giaccone e il suo crapone) all'interno di un aula semi-storica, stamberga in epoca napoleonica, divenuto chiccoso in tempi moderni. Potere delle belle arti? Di Bondi?
Dunque ti parlano due omuncoli che hanno sviluppato questo hack'n slash dal titolo Monster Hunter Tri, bello bellissimo, ma che all'Autore non ha mai convinto più di tanto (lungo, lunghissimo, impegnato, impegnatissimo): si chiamano Ryozo Tsujimoto e Kaname Fujioka, il primo è un Kojima sfigatissimo (e già il serpente è tutt'altro che un uomo carismatico: appiccicaticcio), il secondo è validamente inutile per quanto ha seguito l'intera parabola dei picchiaduro tratti dal manga Jojo Bizzarre Adventure. A qualcuno sono pure piaciuti nevvero...
Indossano entrambi la medesima "jacchetto" griffata Monster Hunter Tri: sono sfigatissimi. Il traduttore ha un inglese impeccabile, è così suadente, ma rimane pur sempre uno stronzo anche lui.
Class dismissed: la cut scene metalgearsolidiana ha così termine e mettono in mano al pg un bizzarro videogame. Un videogame dentro un videogame? No More Heroes, Shenmue, Game Center CX, e altri lo hanno fatto. Capcom insomma ti fa partire in missione con altri quattro cacciatori e ti invita a uccidere questo pezzente di un dinosauro (che se non erro è stato trasferito da Pandora!), che carica e ricarica e ti sbatte più e più volte in infermeria insieme agli altri avventurieri. La prova inequivocabile che nel mondo di Monster Hunter non solo non sei mai solo, ma anche che con un cazzo di spadino puoi solo fare il solletico a sto bruttosauro.
Sessioni di cucina da campo vengono dappoi interrotte sistematicamente da altri dinosauracci del malaugurio e un altezzoso figlio del capo villaggio decide di metterti i bastoni tra le ruote con intricati cambi di controller (ma il Wii non doveva svecchiare i vecchi e barbosi pad a due stick? No perchè Monster Hunter Tri a volte pretende di usare in contemporanea il classic controller e il wiimote). Il pranzo con un panino, due croccantini felini e dei muffin salati sostanzia abbastanza. La rappresentanza femminile, checchè ne dica il russo, è copiosa e di gran lunga sopra la media. I cadeau si compongono di un manga, quel certo Monster Hunter Orage (Interessa?) destinato esclusivamente a far numero in libreria, e un poster miracolosamente scampato allle flessioni di borsa del Giovedì nero.
Per chi ha chiesto lumi: Monster Hunter Tri è interessante, interessantissimo, ma son sicuro che saprete pazientare...

mercoledì 3 febbraio 2010

L'infernale inferno di Dante


L'impressione di condurre campagne in solitaria è qualcosa di deleterio, come d'altronde aveva già sperimentato l'omerica Cassandra. Ritrovare un isolato compagno, magari sconosciuto e lontano, in queste piccole battaglie si rivela sempre prezioso.
Prendete Dante's Inferno, l'atteso (in uscita questo Venerdì) action game di Electronic Arts che trae spunto dalla Commedia di Dante Alighieri per mettere in scena una avventura alla God of War (sì, con QTE ogni tre secondi). Di lui si era addirittura tirato in ballo l'esimio professor Bruscagli ( sul cui sussidio l'Autore ha affrontato la letteratura italiana del liceo. Ma non ha idea se ringraziarlo o tirargli un pugno. First the first, then the fist) della esimia Società Dantesca Italiana (alla quale la finanziaria 2010 ha deliberatamente tagliato i fondi...): le parole cariche d'odio erano state recepite in quell'altra sede.
Poi è arrivato il gameplay e la prova su strada, continuata infine con il giocare il prodotto finito: e qui le velleità letterarie non c'entrano per nulla. Dante's Inferno è un prodotto che ha travalicato la soglia di decenza (su Neogaf un topic dal titolo Dante's Inferno Crossing the Line? esemplifica un sentimento comune esasperato da una così cruda rappresentazione violenta), proponendo una visione dell'inferno semplicemente aberrante, virtualmente lontana da qualsivoglia accento filosofico e/o religioso dell'opera dantesca da cui prende spunto. Quale poema hanno letto gli sviluppatori? Con quale faccia tosta accludono alla Collector's Edition una ristampa della prima cantica della Commedia? E poi: Dante che si lacera il petto di modo da disegnare una croce? Beatrice rapita????? Dante crociato???? La porta dell'Inferno nella campagna toscana???? E qualcuno ancora osa accostare la ridicola manifestazione electronicartsiana con la summa poetica del fiorentino.
Dante's Inferno è una completa delusione. Il sistema di combattimento è legnoso, mediocre, totalmente farcito di inutilissimi Quick Time Event. Una pochezza stilistica e ludica che non ha eguali negli ultimi dieci anni di action game, anche tenendo presente le tamarrate dei Devil May Cry, che perlomeno proponevano un gameplay divertente e per certi versi coerente.
Ma Dante's Inferno chiama a sè un sercito di esseri immondi, privi di dignità e moralità, e invita il giocatore al loro massacro. Terribile? No, perchè al giocatore sarà concessa la facoltà di redimere tale anime, piuttosto che concedere la dannazione eterna. Peccato che quale dei due sceglierete non cambierà effettivamente un cazzo, altro che le implicazioni etiche viste in Bioshock.
Di Dante's Inferno gli spettatori potranno ammirare uno spot durante l'imminente Superbowl, un teaser (privo quindi di immagini gameplay) in cui si narreranno gli antefatti della vicenda inventata di sana pianta dagli sviluppatori: la CBS, l'emittente che proietterà l'atteso evento sportivo, ha costretto EA a censurare parte di tale spot, affinchè la frase "go to hell!" sempre presente nei filmati di presentazione del titolo . Non possa urtare la sensibilità di qualcuno! Per una nazione sempre pronta a sottolineare le implicazioni politiche e sociali della fede religiosa questo non può che essere un affronto (giustamente eliminato...).
Ma l'affronto più grande non si può eliminare: la presa per il culo di un pilastro della letteratura mondiale, girato e rigirato con una spavalderia e una altezzosità assolutamente razzista. E non in secondo piano la proposta di un action game scadente e privo di qualsivoglia personalità, una formica in confronto allo stile di Bayonetta.
L'onta per aver sputato in faccia a un fondamento della cultura italiana n0n deve assolutamente passare in secondo piano: l'eccellente caratterizzazione di Assassin's Creed II viene eclissata da tale produzione americana.