mercoledì 31 marzo 2010

De Re(gionale) Publica

Devi aver dormito molto. E forse hai pure sognato.
Il risveglio non è dei migliori, ma non poi così brutto.
Anzitutto, e mi rivolgono ai cari concittadini della Padania, le vostre carte d'identità non servono più: o meglio saranno presto sostituite da nuove tessere che attesteranno le vostri nobili origini nordiste. Più realisticamente, c'è chi era pronto a guardare al successo della Lega sul PDL in Lombardia (cosa non avvenuta; Formigoni poteva benissimo presentarsi da solo e avrebbe comunque portato a casa il bottino, diventare governatore), e invece eccoli lì a danzare per le vie di Torino in una vittoria strappata all'ultimo secondo da un novarese (!!) contro una improbabile sinistra (laica) allargata al centro. O a Venezia, o meglio nelle valli venete, con una persona di polso, un grande ministro (la delusione per aver perso cotanta persona alle politiche agricole è davvero impagabile in famiglia), che sicuramente ben si spenderà per la regione (pur dovendo dividere la Serenissima con un sindaco avverso, facile vincitore ai danni dell'assenteista Brunetta).
E non dimentichiamo le folli cavalcate in Emilia Romagna, in Toscana, in Umbria: i lumbard sono ormai alle porte di Roma. Basterà anche stavolta il Papa a fermarli?

Dovunque ha vinto l'amore. Ma non l'amore semplice semplice, l'amoooore. Per cosa poi? è un mistero. Queste elezioni sono il portato di una campagna elettorale partita male (e il Lazio questo lo ha pagato caro con un'affluenza di circa 10 punti sotto la media nazionale), proseguita peggio e finita "in assenza di tv" parlando "in primo luogo di tv", osservava ieri Grasso sul Corriere. Domenica sera si temeva una disaffezione tipo quella francese (dove si è recata alle urne solo una persona su due), ma poi un pò ovunque si è tornati a soglie accettabili (due italiani su tre), recuperando leggermente durante la mattinata di Lunedì. Segno che la politica emoziona ancora i nostri (ormai ex) concittadini, specie quelli più anzianotti (i ragazzi del 22 e 23, quelli che orgogliosamente ti dicevano "io è dal quarantotto che voto", oppure "mi son spezzato entrambi i femori ma son venuto lo stesso": a queste persone tu gli hai stretto la mano, registrato le loro generalità e aspettandoli alla prossima), quelli di mezza età (ligi al dovere, anche se non sono mancati gli originali: "vota Ali Babà che i ladroni son soltanto quaranta" consiglia alla moglie) e qualche sparuto gruppo giovanile, irredentisti di una qualche sinistra che forse non è mai esistita. Ma molti, purtroppo, preferiscono fare altro: cosa vi costa fare una capatina di dieci minuti? Li trovate dieci minuti in 22 ore di apertura dei seggi (che, può garantire la poltrita di ieri pomeriggio, poche non sono) o no?

Il Pd come "partito appenninico", come la Lega, forte solo in alcuni territori del centro (Emilia, Toscana, Marche, Umbria), con appendici più o meno insignificanti in Liguria e Basilicata. In Puglia, ahinoi, si riconferma Vendola (49 %) staccando Palese (42 %) e la Poli Bortone (8,6 %), che se avessero deciso di correre insieme avrebbero certamente cancellato quel malgoverno nella regione adriatica uscito allo scoperto con lo scandalo sulla sanità. Così non è andata per la delusione di buona parte del PdL e di qualche stralo del PD (rode Massimino?). E nonostante tutto Il Fatto ieri esordiva scrivendo "Meno male che c'è Vendola".
Lazio, Campania e Calabria: è qui la vera vittoria della destra. Contro la stanca radicale anti-tutto, contro l'apatia organizzativa (ora si deve mettere mano all'efficienza),...
Inutile trarre rilievi nazionali: regione per regione ha vinto questo o quell'altro. I numeri nazionali (sopratutto confrontati con precedenti tornate nazionali, laddove aveva votato l'intero territorio nazionale, mentre qui solo parte dell'Italia e la Padania) non danno la vittoria a nessuno: il PdL cala, il PD rimane più o meno stabile, IDV scandalosa (assolutamente ininfluente), UDC bah, sale la Lega (primo partito in Veneto) e fa bene Grillo con il Movimento 5 Stelle (determinante in Piemonte, al 7 % in Emilia Romagna). Ma è ovvio che si possono trarre al massimo comprove dal responso regionale: "i tre anni che il governo ha davanti non offrono più alibi da accampare per l'incapacità di fare le riforme o per le decisioni non prese: il centrodestra deve governare davvero", Massimo Franco ieri sulla prima pagina del Corriere. Possibilmente pensando a federalismo e giustizia, lavoro e scuola, non al cancro o al presidenzialismo. Tre anni sono ancora molti e se Berlusconi dal 29 Marzo esce in qualche modo ottimista, corroborato, sarà solo nel 2013 che si vedrà quantro ancora tiene questo berlusconismo.


Cosa rispondere a uno che vuole convincerti che tu non sei di Olgiate? Cosa dire a chi Manifesto alla mano cercava di convincerti che quel tal voto era valido? Come guardare la tal signora che abbandona con nonchalanche la tessera del PD appena prima di entrare nella cabina? Cosa pensare di quel genio che adopera il voto disgiunto barrando Lega e Beppe Grillo Presidente? O Sinistra Ecologia e Libertà e Formigoni Presidente? O quello che in un eccesso di fiducia barra un buon cinquanta per cento dei simboli presenti sulla scheda? O di chi riporta ai gentili scrutatori il risultato di Roma Inter, commentando "Mou suca"? O della signora che, non si sà mai, scrive il proprio nome e cognome? O "voto sticazzi"?
Questo e molto altro in due giorni di permanenza al seggio quattro della scuola media Dante Alighieri...

venerdì 26 marzo 2010

Marcorè perunpomeriggio

Una sedia. Un'aula magna gremita.
Basta poco per parlare, dialogare, confrontarsi.
Ed è quello che ha fatto l'attore Neri Marcorè venerdì 26 alla Statale di Milano, in una lunga intervista con gli studenti universitari. Bazzica in questi giorni nel capoluogo lombardo per la conclusione della terza stagione del suo spettacolo teatrale "Un certo signor G" dedicato alla persona di Giorgio Gaber, monologhi e canzone reinterpretate alla luce della situazione attuale (anche se Marcorè ritiene che pochi passi avanti si siano fatti in questo paese dagli anni '70 e '80). E proprio il giovedì precedente teneva tale spettacolo, quando avrebbe preferito guardare in diretta lo show di Santoro da Bologna (Raiperunanotte), al quale - confessa- avrebbe desiderato anche partecipare.
Dice che non è il suo paladino, ma la trasmissione è sicuramente importante per la rivendicazione di quella libertà di informazione, patrimonio comune della nazione italica. Democratica.
Ma che personaggio questo Marcorè: eclettico, spiritoso e marchigiano. Di cosa vogliamo palare? Di satira? "La satira è quel mezzo d'espressione che coniuga la comicità e l'informazione", cioè presenta mediante il riso nozione e notizie altrimenti non veicolabili dai normali mezzi di comunicazione. Molto opinabile. Ma sicuramente "il pubblico è l'unico censore possibile", sovrano sulle performance degli autori satirici. Non altri.
Brillante e sagace il ragazzo, decisamente invaghito delle meravigliose canzoni di Giorgio Gaber: ah lui, in proposito, temeva non tanto "Berlusconi in sè, ma Berlusconi in me". E forse bisogna pensare del livello di pervasività raggiunto dal leader del centrodestra da sedici anni a questa parte. Già, ma solo dopo queste infauste elezioni...
Dicevamo che si è portato una chitarra, di piccole dimensioni, per cantare alcune canzoni dell'artista, come la più che calzante "Le elezioni". Dissemina per l'aula a due piani una contagiosa risata, spontanea tanto quanto le boccacce di Gaber nel corso dei suoi concerti. "Non so cosa manca a me del signor G" si chiede Marcorè "forse le melodie, forse la poesia". Niente di tutto questo: "forse il naso". Ecco, ta ta ta tan.


martedì 23 marzo 2010

Ran Google Ran!

"Riteniamo che questo nuovo approccio di fornire ricerche non censurate in cinese semplice attraverso Google.com.hk sia una soluzione ragionevole: è interamente legale e aumenterà significativamente l'accesso all'informazione dei cinesi. Ci auguriamo che il governo cinese rispetti la nostra decisione, anche se siamo consapevoli che potrebbe bloccare l'accesso ai nostri servizi"

Insomma Google ha mollato la presa col governo cinese, ha abbandonato il braccio di ferro che perdurava da diversi mesi (con notevoli complicazioni, anche politiche) e ha fatto pulizie nei propri uffici di Pechino. Le foto dei figli, la bandierina americana sulle mensole e il fantozziano ficus nell'angolo.
Ma non si sono mossi poi molto: con una mossa più o meno furba, si sono stabiliti in quel di Hong Kong, la famosa enclave cinese con notevoli autonomie (difatti è una sorta di città libera). Google.com.hk è duinque diventata la "nuova casa di Google Cina", come recita un messaggio in cinese che accoglie ora i visitatori.
Per il gigante americano vi è certamente il rammarico per aver abbandonato un mercato assai interessante da esplorare, ma per una volta si deve essere contenti perchè l'etica ha prevalso sul profitto commerciale.
Il trasloco, però, è decisamente una manovra rischiosa, perchè rappresenta una decisa sfida ai vertici del Partito Comunista Cinese. al momento la Casa Bianca non si è pronunciata, portando avanti quel relativo gelo di questi mesi nei confronti della Cina, dopo le grandi aperture del Luglio e Agosto scorsi.

Rimaniamo in tema di Google e volgiamo ancora lo sguardo a Oriente, un pò più in là della Muraglia. Il motore di ricerca quest'oggi, infatti, ricorda il centenario della nascita del regista giapponese Akira Kurosawa (avvenuta il 23 marzo del 1910, a Shinagawa, Tokyo) con un affettuoso logo monocromatico, in cui la seconda "o" diviene l'obiettivo della macchina da presa. Un gradito tributo per uno dei maggiori cineasti di sempre, una figura indispensabile per comprendere il secondo dopoguerra giapponese: per noi, così come per gli abitanti del Sol Levante, che individuavano nelle coraggiose storie da lui raccontate, negli allestimenti in costume, una fonte inesauribile di forza di vivere, tale da sopportare le angherie americane.
I piani per festeggiare questi cento anni devono ancora essere debitamente annunciati (parlo del nostro paese naturalmente); per ora si conosce soltanto l'arrivo della riedizione Blu Ray di uno dei suoi capolavori, Ran del 1985.

mercoledì 17 marzo 2010

Esci: c'è un mondo (interattivo) là fuori

Se non fosse stato per la pubblicità della Nuova Cinquecento, anche quest'oggi il tuo apprezzatissimo neurone si sarebbe riposato (tanto a giocare a Lost Planet 2 non è necessario impiegarlo in toto...). Grazie tante! Già, perchè se date un'occhiata allo spot forse capirete di quanto ormai l'interattività abbia fatto breccia anche nello spazio extradimensionale, che noi suoliamo chiamare "quotidianità", per il nerd medio "vita normale". Ora è ovvio che solo un medio deficiente produrrebbe una qualche riflessione valida (almeno alla soglia intellettuale border line di questo spazio) guardando semplicemente un tizio che agita le mani e si approccia a un modellino della (inguardabile) Cinquecento. Sony lo ha fatto con il Wand/Arc/Move, che poi son la stessa componentistica inutile, che poi è un'altra storia, che poi parla di beceri pigliaperilculo.
Nossignore, la pubblicità della Cinquecento è solo il ritardario coglimento dei geni mediatici italiani di una tendenza davvero interessante degli ultimi anni. Cioè da quando incredibilmente l'industria del videogioco ha oltrepassato quella musicale e cinematografica in fatturato annuo, e molti artisti/giornalisti/politici/musicisti, eccetera eccetera si sono accorti che molte qualità di questi giochini potevano essere riutilizzate. I media sono innegabilmente interconnessi tra di loro, si nutrono dei medesimi dati sensibili, dei medesimi fatti, degli eventi che ci circondano, e li rielaborano, li ripensano, li interpretano a loro modo, con il loro linguaggio. Forse dipendendo troppo dal cinema, questo è certo, ma di sicuro non è per nulla possibile continuare a ignorarli, a ignorare quella massa di persone che continuano a preferirli ad altre forme di intrattenimento, oppure quei pochi tipi che li considerano un prodotto artistico (hanno tutto l'apporto dell'Autore, per quanto lui si discosta da una simile scuola di pensiero).
Già il pluripremiato The Hurt Locker aveva individuato nel ritmo di molti videogame di guerra (cioè Gears of War, debitamente ringraziato nelle prime scene della pellicola) un valido modo per restituire la tensione di un conflitto a fuoco, la paura verso l'ignoto, il sospetto, l'estraneo. E difatti il film della Bigelow lo intende benissimo solo uno che coi giochini ci è avvezzo, che conosce bene le dinamiche, che ha affrontato centinaia di volte orde di nemici che gli piombano da tutti i lati, che ha saputo padroneggiare una situazione veramente nuova per i suoi allenati polpastrelli. Il soldato Ryan questo non lo ha mai fatto, ma l'ignoto protagonista di Call of Duty 2 certo che sì. Per introdursi maggiormente all'entusiasta argomentazione, leggetevi il bell'articolo di Andrea Maderna su Nextgame.
Ma poi è tutto il panorama che ruota attorno al videogioco (via via ) come elemento centrale: da Obama su Second Life a South Park che fa una puntata su World of Warcraft, da Lucarelli che sponsorizza Professor Layton ad Avatar che cita fragorosamente Halo.
Giacchè un rinnovato vento videoludico carezza le nostre pelli, ci sarà molto da divertersi. Per noi videogiocatori è giunto il momento di godersi il piccolo trionfo, ma la pacchia deve durare poco, c'è ancora molta strada da fare, ci sono ancora cose da migliorare. Forse solo ora prende avvio la nuova generazione di console: è francamente un peccato che qualcuno voglia già vederla finita.


P.S. Sky ha dato The Hurt Locker in visione Sabato scorso, spacciandolo per prima visione, quando in realtà girava sul satellite già da Febbraio. Solo che allora non se lo filava nessuno, mentre oggi pare un nuovo pilastro del cinema. Così non è, non è un capolavoro, è un buon film che gioca bene i suoi spazi, i suoi tempi, le sue inquadrature. Tiene lo spettatore/giocatore sospeso, lo insidia continuamente, per poi aprirsi in un finale a prima vista impossibile. Ma che per certi versi dovrebbe avere un senso...
Ma non è di sicuro più stravolgente di Avatar, più cinico di Up in the air, più impegnato di Precious, più filmico di Bastardi senza Gloria. Stava bene nel suo anonimato fermentato, fianco a un Leone per Agnelli, ma la politica lo ha dissotterato e gettato prepotentemente alle luci della ribalta. Una Academy così Democratica è una vera novità...
La curiosa coincidenza è che Sabato scorso Electronic Arts ha diramato anche un primo trailer in-game del futuro Medal of Honor per Xbox 360 e PS3, atteso per l'Estate. Potrebbe essere interessante, lo potrebbe essere davvero se raccogliesse i molti rinnovamenti al genere che Infinity Ward ha velatamente inserito in Modern Warfare 2.
La speranza è che questo articolo debba essere aggiornato. Sarebbe un vero onore, una vera felicitazione...

giovedì 11 marzo 2010

Giorno di graditi ritorni

Nel caos delle liste elettorali, nelle due settimane pre-regionali (alle quali lo Stato ha invocato il sostegno dell'Autore), nelle due settimane maanchequalchegiornoinmeno che separano dall'esaminazione en langue francais, nella bagarre (qulcuno ha preso a cuore l'espressione) degli ultimissimi giorni. Nella, insomma, ordinaria amministrazione italica (o forse lo è diventata nell'ultimo anno?) e studentesca, due fatti assai inattesi irrompono nel panorama mediatico, contentando in larga misura lo spirito democratico di chi imbratta a queste latitudini.
La novità, metto le mani avanti, non è il fatto che il sottoscritto stamane (dopo mesi, facciamo secoli) compra nuovamente La Repubblica. E non è nemmeno che riesce a leggerla con un certo gusto, anche le frecciatine sul legittimo impedimento, anche le divagazioni sul camerata La Russa che "pesta a sangue, con manganello, e fa bere olio di ricino" a quel timido, minuto, giornalista freelance, che innocentemente chiedeva di Berlusconi cosa diamine facesse Bertolaso, se è corrotto, se piglia tangenti, se salva le liste. Più o meno come Davide contro Golia, questo Presidente del Consiglio (a...a...abbronzatissimo) che non cede a Carlomagno, cristianissimo imperatore. Ora non è modo di malmenare un giornalista (no dai, nemmeno in colui che ribolle sangue di romanissimo ardor), ma non è nemmeno il caso di vomitare domande bando alle ciance e ai formalismi.

Comunque, comunque: la vera notizia è che Mentana ritorna sullo schermo. Anzi ci è già tornato. Ma ehi siamo in periodo prelettorale, dove la televisione (Minzolini e TG1 eccetto, cioè guardatevi sta parodia) a causa di una certa "interpretazione" del regolamento RAI non può informare i cittadini su cosa andranno a barrare a fine Marzo. Mah...
Comunque Mentana, lui stesso, se ne è venuto fuori con una idea geniale e la ha esposta in una lettera personale a De Bortoli: "Caro direttore, c'è un'occasione da non perdere per chi ama l'informazione. La vogliamo cogliere insieme?". Poi getta lo sguardo alle trasmissioni pollaio: "Il giornalismo libero e l'opinione pubblica possono confrontare, ad esempio, Formigoni e Penati, la Bresso e Cota, la Bonino e la Polverini, unici possibili vincitori nelle loro regioni. In tv no, è vietato, al massimo ci potranno essere delle pletoriche tribune politiche, o le dichiarazioni in pillole cui saranno costretti i tg." Da qui la genialata: "Tutte quelle trasmissioni che adesso sono vietate in tv possono andare in onda ogni giorno, fino alla data delle elezioni, attraverso Internet. E allora la sfida è questa: facciamolo noi un programma libero e rispettoso solo dei doveri e dell'interesse giornalistico, con la grande credibilità e autorevolezza del Corriere della sera, con il fresco e meritato successo del suo sito, e — più in piccolo — con quel che ancora credo di poter fare, dopo quest'annetto di pausa ristoratrice." Il risultato lo trovate a questo indirizzo, con un confronto tra La Russa e Letta, sbilanciato verso il primo, che parla, sparla, parla (per quanto Rizzo e Stella lo incalzino più volte, ma questi scrivono, mica parlano in pubblico. Sono dei pulcini per certi versi nel pollaio via canone).
Emerge difatti la vera novità propugnata da Internet, non solo una assoluta libertà (indirizzata dalla " grande credibilità e autorevolezza del Corriere della sera"), ma anche la possibilità per ognuno di "seguirlo in diretta o all'ora che vuole". Emerge con prepotenza, grazie al talento giornalistico di Mentana, quella sotterranea rivoluzione che rivendica la piattaforma internet come ruolo di aggregazione, di condivisione di informazioni: certo nei ranghi di un preteso formalismo, mica che si vogliano equiparare gli sproloqui domenicali di Scalfari al tweet di Franceschini.

Senza scostarci poi di molto, riportiamo la valida notizia, che trapela sempre da Repubblica, secondo cui l'autore satirico Corrado Guzzanti è ormai prossimo a firmare con Sky per realizzare un programma a partire da Settembre. Il comico romano prenderebbe il posto che fu del Fiorello Show, elaborando un programma fortemente votato alla sperimentazione: "senza l'ansia e i condizionamenti dell'Auditel" fanno sapere gli scagnozzi di Murdoch. Voci dicono che riprenderebbe le tematiche dello spettacolo teatrale Recital (chicca su Tremonti), ma la speranza è di vedere nuove incursioni in simil-fiction come avvenuto per Fascisti su Marte: formalmente legato al programma della Dandini Parla con me, negli ultimi due anni si è fatto vedere con una macchietta su Prodi (riproposta pi e più volte), che per quanto divertente nel profilo generale, in realtà è assai blanda.
Corrado Guzzanti. Torna in televisione. Su Sky. Beh, ottimo: finalmente qualcosa di sinistra. Ehr...

mercoledì 10 marzo 2010

Grignani canta De Andrè

E' tipicamente un ribelle. Maglietta bianca e giubbotto in pelle, corre, si dimena, passa da uno strumento all'altro, si offre al pubblico. Cristiano De Andrè è fondamentalmente un musicista e con il suo ultimo tour lo sta ampiamente dimostrando, reinterpretando le canzoni di cotanto padre. Il poeta.
Lo fa come, ti fanno notare, un tipico rocker di stampo italico. Cioè come un tipo un pò sfigatello, così sbarbato... Ma le canzoni dell'illustre padre vengono cantate da "Ci" (come Faber nominava il figlio: "era concettuale anche in questo", dopo essersi evidentemente pentito di averlo chiamato Cristiano. "Crisi mistica"? eheheh...) con quel profondo rispetto, misto a orgoglio, tale da accattivarsi le simpatie del pubblico e unirsi, in un unico grande coro, attorno ai versi di De Andrè.
Diviene un susseguirsi di standing ovation, reali apprezzamenti per una poetica che travalica ogni divisione, separazione, unisce, congiunge, aldilà di ogni barriera politica ("Io non sono comunista, nè di destra. Sono anarchico", diceva Fabrizio, credendo fortemente nell'utopia. "E forse di questi tempi è meglio credere nell'utopia" aggiunge Cristiano).
Come musicista si fa assolutamente valere: passa con professionale scioltezza dal mandolino alla chitarra acustica, dalla tastiera al violino (e in questo è davvero assai bravo). E poi canta. Canta molto, ripercorrendo in maniera balzata il repertorio del padre, in un susseguirsi musicale di indubbia validità, concedendo alfine ad un pubblico in visibilio ben quattro encore, concludendo infine con la commovente "La canzone dell'amore perduto". Ma non dimentica i grandi alfieri della poetica di De Andrè, vedi Il pescatore, Bocca di Rosa e La canzone di Marinella ("Ora facciamo un pezzo inedito" annuncia. "Mai provato". Poi le note d'apertura: "scherzetto"). Dedica ampio spazio alle canzone dialettali col trittico Megun, A Cimma e Creuza de Ma, con un divertente virtuosismo sull'ardua Zirichiltaggia in dialetto sardo. Narra la genesi di Cose che dimentico, unico sodalizio tra padre e figlio (stesa in una notte soltanto a partire da una manciata di accordi venuti in mente a Cristiano, dedicata simbolicamente a un amico poeta morto per AIDS). Poi Amico Fragile, Don Raffaè, e Quello che non ho, Ho visto Nina Volare. E altro, tanto altro...
Bello, intenso. E' già finito? Decisamente soddisfacente.


sabato 6 marzo 2010

Interpretazione del decreto interpretativo

Dunque, si parlava giusto ieri di promesse, di mantenerle a tutti i costi: ma è evidente che quando in Gennaio, conosciuto l'assetto partitico verso le regionali, mi apprestavo a una pausa dal pensiero politico, nulla poteva immaginare una situazione come quella che si è verificata nell'ultima settimana. Caso squisitamente interessante per un politologo, un virtuoso delle teorizzazioni trova pane per i propri denti affamati di deficit democratici e divisioni dell'elettorato. E sia, ma in una prospettiva pratica, concreta, diciamo pure pragmatica, la situazione va ben oltre alla qualità della democrazia in Italia (che, in merito a partecipazione, rimane assai ragguardevole). E' l'esasperazione di un testa a testa, un perde chi molla tra magistratura e governo, con un parlamento semplicemente dominato, ridotto a convertire decreti legge e vessato da improponibili scadenziari. Un Capo dello Stato che merita grande stima per i lavori che sta conducendo nel ristabilire la situazione (per quanto, il clima attuale, nonostante l'accanimento della campagna elettorale, non potrebbe essere altrimenti!, è assai più disteso dei mesi scorsi, quelli che hanno preceduto l'attentato di Piazza Duomo), ma che sotto il profilo istituzionale dimostra le sue fattezze di burattino, come puntualmente viene fatto notare dal 48 in poi. Qualcuno ironizza di dargli la tessera onoraria del PDL (in effetti, dovrebbe assumere maggiori connotati da vecchio e consumato comunista qual'è: un polso maggiore, una maggiore invettiva rivoluzionaria), qualcun'altro parla di impeachment (cioè la messa in stato d'accusa, che a) è prevista per il solo Presidente degli Stati Uniti, b) vale solo per reati quali l'Alto Tradimento e l'Attentato alla Costituzione da parte delllo stesso Presidente della Repubblica, eh!, e c) il parlamento non te lo voterebbe mai, abbassa la crestina galletto dei miei...).
E' ovvio che il decreto interpretativo del Governo, già promulgato (pardon emanato) da Napolitano, da un lato rappresenta la pronuncia ufficiale del Consiglio dei Ministri (indi, tendenzialmente lontano da manovre di partito. Seeee, come no... lo avrebbero fatto se in tale pantano fosse finita la Bonino o la Bresso? Io no) , ma è ovvia la forte presa di posizione da parte dell'esecutivo, la decisa intimidazione al giudizio del TAR lombardo, il fermo antagonismo che non ha certo origine dai rapporti istituzionali fermati dalla Costituzione. Quindi chiamamo questa manovra con il suo vero termine, fino ad oggi usato a sproposito: autoritaria. Già, perchè tutto ciò risulta essere davvero una invasione delle responsabilità governative, perchè si immette nell'esercizio legislativo (un decreto legge, usato impropriamente, dal momento che si tratta solo di una interpretatio iuris e non un provvedimento che richiama una conversione) e giudiziario (a nessuno fa mai piacere se un estraneo vi dice come fare il vostro lavoro, giusto?).
Ma sia chiaro: non è l'interpretazione in sè a destare dubbi all'Autore (in Italia esiste un organo che fa questo di mestiere. Si chiama Corte Costituzionale, giusto?), ma la scarsa fiducia nel pronunciamento del giudice, e nella giurisprudenza passata.
Ma di fondo si tratta di un calcolo presuntuoso, arrogante. Ingiustificabile. Anche se si rivela l'effettivo strumento per colmare quel buco democratico che l'esclusione di Formigoni e della Polverini lasciava intravedere.
E la questione ancora non è finita...

venerdì 5 marzo 2010

L'invictus Mickey Rourke

Una promessa è una promessa. Un giuramento, mano sul cuore e croce sul petto. Per quelle poche volte che non si tiene fede alla promessa, è il senso di colpa ad assalire, prima ancora di qualsiasi punizione, rinfacciamento...
Una promessa è una promessa: rispettarla richiede rabbia, sacrificio, grinta, impegno. Tutti attributi che sono assolutamente propri del Nelson Mandela di Clint Eastwood in Invictus, ma anche del Mickey Rourke di The Wrestler. Promisi di trattare della bella pellicola del grande Clint, ma è ovvio che film come quello di Aronofsky cambiano davvero la percezione dell'arte cinematografica. E poi vi sono punti di contatto tra i due. Sublimi opere su pellicole, mirabili affreschi di vita.


Primo, lo sport (vero o verosimile) come comune denominatore. L'assoluta dedizione a una causa, a un'ideale, a una classe. Lo sport che unisce, incontra, stima l'avversario come pari, come dotato delle medesime pulsioni, paure, istinti. Il rugby che unisce verso un'obiettivo nobile, dalla gigantesca responsabilità, ma in cui si corre uniti ad agguantare l'ideale a lungo anelato. Il wrestling che, nonostante le sue brutture, le sue delusioni, le sue cattive abitudini, mantiene rispetto, stima per il compagno, l'avversario, il rivale di mille campagne: ma sopratutto l'intera carriera tende all'omaggio, al servigio, al volere dei fans, ai quali si deve tutto, anche l'estremo sacrificio.
Passa nettamente in secondo piano il grande affetto e interesse che l'Autore prova nei confronti delle due discipline, per motivazioni assai diverse, ma per cui batte un'unica passione. Per lo sport che unisce e non che divide.
Secondo, l'avventura umana fatta di scivoloni e capitomboli, brevi glorificazioni, e poi ancora a strisciare nel fango, mangiare polvere, sognare i bei tempi andati...oppure risollevarsi, rientrare nella mischia, balzare nuovamente sul ring, guardare in faccia l'avversario, perdonarlo se necessario a rimettere in parità le cose. E via verso una nuova sfida.
Terzo, questo è fottuto cinema. con la c, la i, la n, la e, la m e la a MAIUSCOLE. E' cinema, vero, palpabile, autentico. Che ti fa sorridere e ti fa piangere (lacrimuccia per entrambi, già già, per questo cuore di pietra...). Che ti fa sentire vivo, capace di provare emozioni. E lo sguardo corre inevitabilmente all'effettologia burtoniana di un'Alice in Wonderland: beh, rimarco, felice di non andare a vederlo! Due capolavori nel giro di quarantotto ore non capitano mica tutte le settimane.


giovedì 4 marzo 2010

Sempre in piedi. Mai sconfitto.

Mai vinto. Mai domo. Mai sconfitto. Invictus. Undefeated.
E' in questa parola, di difficile traduzione in italiano, che Clint Eastwood riassume l'intero significato della vicenda che va a raccontare.
E si cui operiamo non una, ma due riflessioni.
Basato sul libro di John Carlin. Ama il tuo nemico, racconta l'incontro del 1995 tra Nelson Mandela e Francois Pienaar, capitano degli Spingboks, la nazionale sudafricana di rugby. Sapete già come è andata: per la prima volta nella sua storia la squadra dell'emisfera australe si è portata a casa l'ambita coppa del mondo sconfiggendo in finale una agguerritissima Nuova Zelanda. E' stata un grande vittoria, perchè oltre al risultato sportivo è riuscita ad unire per la prima volta bianchi e neri sotto un'unica bandiera. E il merito è anche del presidente Mandela che ha creduto moltissimo in "questo rugby".
Non dispiacerà a questo punto se propongo anche le parole finali della pellicola, pronunciate dal Premio Nobel per la pace:

ringrazio qualunque Dio esista
per l'indomabile anima mia. [...]
Io Sono il signore del mio destino:
Io Sono il capitano della mia anima.

Sono parole del poeta inglese William Ernest Henley, tratte dalla vittoriana poesia "Invictus".
Nonostante Clint Eastwood forzi la realtà storica (in realtà Mandela dona a Pienaar un discorso di Roosvelt, e non la poesia in questione), le parole sono assai forti, sopratutto se si pensa ai fiumi verbali spesi dal coetaneo Oscar Wilde, che condivise con Mandela una ingiusta prigionia.
Il primo presidente nero sudafricano ha avuto la forza, il coraggio, l'ardore di risollevare la testa, guardare negli occhi il proprio segregatore, stringere la mano al boia e perdonarlo. E' questa la forza del personaggio: unire le genti in nome di una comune battaglia, non politica, non sociale, non razziale, ma umana. Alla fine sono più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono, quindi perchè continuare a farci la guerra? perchè scontrarsi su futilità? sulle apparenze? sulle esteriorità?
Il rugby nella fattispecie è una circostanza perfetta (per quanto esso appaia come una sineddoche, indicando in realtà lo sporto più in generale: come Eastwood ha sottolineato più volte. Lui avrebbe fatto tale film film anche se Mandela avesse giocato al poker): unisce le genti, di qualunque colore esse siano, le proietta all'unisono verso l'agognata meta, in un continuo e serrato corpo a corpo, scontro frontale con il rispettabilissimo nemico.
E questo dovrebbe far capire una volta per tutte la forza dello sport e la sua straordinaria capacità di far nascere delle nazioni democratiche e pluraliste. Unite verso un destino comune.

A giorni un pensiero più specifico sul film, sulla regia, sugli attori, sulla colonna sonora, sul doppiaggio eccetera eccetera...

lunedì 1 marzo 2010

Videocracy: 2 minuti d'odio

Erik Gandini si infila nella tana del lupo e si lascia sbranare. Come si dice: chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Solo che se lo zoppo è la televisione italica, ricolma di merda, di affari sporchi, di squallide spogliarelliste, chi si addentra in tali meandri oscuri, nei suoi danteschi gironi del malaffare, così intriganti, non può far altro che venirne contagiato. E uscirne fuori sporco di merda.
Più o meno la sensazione che il documentario del cineasta italo-svedese (com’è, dopo anni nella terra promessa del welfare state, te ne ritorni giù al sud?) Videocracy, squallido attacco alla televisione commerciale (manco fosse il male: si basa sul principio della libera concorrenza e su introiti derivanti dalla promozione pubblicitaria. Un sistema ben più lecito e meno ambiguo delle occupazioni politiche della tv di stato. E questo basti a smentire Repubblica), alla tv del “presidente” (de che poi? Di Mediaset, ben sta, nulla da eccepire…) e ovviamente al suo successivo ruolo politico ("il Presidente - dice Gandini - prima della televisione, poi di tutto”. Eh?!?). Un nesso c’è, è vero, ma Gandini (emigrato per anni, non scordiamocelo) si nutre di tutti quei succosi frutti che la sinistra travagliata (in ogni senso…) gli offre: conflitto di interesse (e sia: “possiede i tre maggiori canali commerciali più la tv pubblica che ormai è in mano sua in quanto capo di governo” dice più o meno così. Potrebbe anche essere verosimile, ma presentato in questo modo è davvero stupido e infantile, non trovate?), parvenze dittatoriali (una insistenza prolungata sulle marcette militari che accompagnarono la solenne cerimonia di investitura di Giorgio Napolitano a Capo dello Stato, il “presidente”. Cioè se questo non vuole inculcarci una analogia Berlusconi-Mussolini, poco ci manca) e un eccesso di divertimento che esprime con i sorrisi e le facce rilassate, distese (è forse un crimine questo? O solo invidia geriatrica??).
Insomma, Videocracy politicamente non va: non va perché si abbevera alla fonte di una retorica impotente, futile, infantile, che anziché capire (cosa a cui era giunto con soddisfacenti risultati “Citizen Berlusconi”), demonizza e basta, con quei faccioni in primo piano, quei sorrisi a 32 denti (35 nel caso del presidente…), manco fossimo ai “due minuti d’odio” di orwelliana memoria.
Non servono gli sprazzi interessanti di questo sciatto documentario a rivitalizzarne la forma: il dietro le quinte alla regia del Grande Fratello, lo sfortunato operaio bresciano che vuole diventar famoso (altrimenti non s’acchiappa…), il “robin hood moderno” incarnato dal geniale (ovviamente a suo modo, ma non stupido…) Fabrizio Corona, e qualche altro momento che c’è, ma dalla merda videocratica proprio non affiora.
Qualcuno, qualche critico affermato, ha provato a difenderlo: il più geniale, sempre a suo modo, è stato Federico Pontiggia su Cinematografo.it, che scrive una simpaticissima apologia: “Qualcuno vi dirà che Videocracy è cinema mediocre, se non banale. Avesse anche ragione, non avrebbe capito nulla. L'importante non è che cosa, e nemmeno come, ma dove: il documentario di Gandini ristabilisce il primato del cinema, uno spazio privilegiato, il buio in sala, in cui osservare per intero e per davvero quello che alla luce del sole, ovvero dei riflettori, abbiamo smesso di vedere” Un cinema che vince sulla sciatta tivvu è un reale sogno, ma se tale battaglia ha tra i suoi alfieri esponenti come Gandini, come Videocracy, come Pontiggia, come la sinistrucola attentatrice e de formatrice, beh, cosa combattiamo a fare?

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