domenica 31 gennaio 2010

Xeno-cazzoni


I videogiocatori sono proprio dei cazzoni. E poco importa se sei dentro in tale categoria fino al collo.
A volte ragionano proprio col culo e a nulla valgono le venerabili raccomandazioni dei venerabili saggi dei venerabili The Legend of Zelda. E il fatto che al loro cuore (quello dei sciccosissimi gamersssss) non si comanda, Nintendo ha ben pensato di misurare nuovamente la loro devianza. Non raccogliendo ulteriori lasciti dal loro portafoglio come era riuscita a fare con Spirit Tracks nel novembre scorso (praticamente un Phantom Hourglass con il treno sempreinritardo delle Ferrovie dello Stato al posto del traghetto Costa crociere), ma con un trucchetto etimologico. Grazie anche al valido supporto del deviato di mecha (ma non Gundam. Sacrilego!) Vincenzo Petrassi ricostruiamo la deliziosa vicenda degli ultimi giorni, in cui il videogame per checche Monado è diventato il nuovo messia geierrepigistico Xenoblade.

Monado: Beginning of The World è il prodotto a cui sta lavorando il premiato team Monolith Software (già celebre per i tre Xenosaga, i due Baten Kaitos, l'unico Soma Bringer, ecc...). Presentato nella bolgia E3, tra bimbiminchia parlanti e idraulici col pilota automatico, segretarie porno fetish e giustamente non se lo era cagato nessuno. Con un nome così...
Gli unici che gli avevano prestato attenzione erano i sostenitori dei giochi di ruolo alla giapponese, la cui passione per giochini fitti fitti di ideogrammi e bimbiminchia emo li dovrebbe condurre su un altro pianeta e invece vivono qui tra di noi, ci rubano il lavoro...
Quando il presidentissimo della Nintendo Iwata ha parlato nei giorni scorsi davanti a azionisti in giacca e compensato, i deviati di qui sopra hanno giustamente drizzato le orecchie. Metroid Other M uscirà questa estate. Wow! Ancora non abbiamo capito una minchia di come si fa a fare uno sparatutto in prima persona e un picchiaduro insieme. Wow. E quest'inverno ritorneranno i Pokèmon: stavolta saranno davvero rivoluzionari, non ci saranno solo 100 pokèmon in più, ma ben 102. Gioite, perchè 102 e non 103? Wow!! E infine eccole le nuove immagini di Monad...e che cazzo è...iPad??? Wow!! No, pardon, ho sbagliato conferenza. Wow!! Xenoblade!! Lo abbiamo chiamato così affinchè possiate venerarlo, come il nuovo messia. Faremo sacrifici umani al "tempio del potere celeste". Wow.
L'isteria collettiva derivata da tale mero cambio di nome è resa ancora più futile e stupida dalla totale assenza di concrete fondamenta di gameplay (è sicuramente un action RPG...wow!) e sopratutto di trama (è una prosecuzione del mastodontico progetto Xenosaga, composto da cinquantasette videogame, più o meno tanti quanti gli spin off di Final Fantasy XIII, oppure un semplice geierrepigi ambientato nel suo universo o una roba totalmente nuova?).
Il giorno dopo la nota ufficiale: "All'E3 2009 il titolo fu annunciato con un nome temporaneo ‘Monado: Beginning of the World.' Abbiamo deciso in seguito di chiamarlo XENOBLADE in onore di Mr. Tetsuya Takahashi, che ha messo tutta la sua anima nel creare questo titolo e gli altri titoli della serie XENO". Wow, questo sì che è parlare, daje Iwa'.
Di assai apprezzabile la colonna sonora, ascoltabile uno stralcio dal sito ufficiale: ma anche qui gli sfigatelli emo poser fitti fitti di giochini sono sul piede di guerra. "E' di Mitsuda!!", "No è della Kajura", "Tua madre è una baldracca", "La tua è Nomura", "Nooooooooooo"...

Globalmente nostro #1

Il popolo aborigeno è intriso di mistificazione e spesso oggetto di confusione. Il fatto di associarlo esclusivamente alla danza tribale Haka, divenuta nelle menti occidentali un balletto cool, la dice lunga su quale considerazione si abbia di tale popolazione oceanica.
Nella trattazione odierna, però, non dispiacerà considerarli l'emblema delle molte popolazioni che ancora vivono in modo selvaggio, lontano dalla civiltà e dalle tecnologie. Sono i vinti o i vincitori della globalizzazione?

Nello spettacolo teatrale "Millenovecentonovantadieci" (1997-1998), il comico romano Corrado Guzzanti affrontava il tema dello sviluppo tecnologico in questo modo: "se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un microsecondo mettiamo caso a un aborigeno dalla parte opposta del pianeta. Ma il problema è, aborigeno io e te che cazzo se dovemo di?"
Applausi a scena aperta. La risata lascerà poi posto alla riflessione: in un concetto generale, le cui premesse sono estreme, la funzionalità della globalizzazione quale esattamente è?
"La globalizzazione è segnata dalla tensione tra l'interdipendenza globale economica e tecnologica e l'interconnessione sociale e informativa, da un lato, e l'eterogeneità culturale e la frammentazione politica, dall'altro" si legge nel librettino La democrazia globale (Martinelli, Bocconi editore). Vediamo di far luce: sin nell'idea (definizione) del concetto si ravvisano le contraddizioni tra "un sistema unico" (il crescente rapportarsi tra stati e individui in campo economico e comunicativo) e "una realtà frammentata" (rappresentata dalle tensioni interne agli stati nazionali). L'importanza di tale concetto risiede nel fatto che investe praticamente tutti (mercati, associazioni, individui, stati, organizzazioni internazionali e sovranazionali, movimenti sociali.
In seno a questi si ergono due differenze impostazioni, chi vuole una maggiore globalizzazione (lo Stato nazionale è destinato a scomparire: lunga vita alle aziende multinazionali. Alè!), chi non ne intravede caratteri innovativi (è solo l'ennesima ondata di internazionalizzazione, più o meno come quella post-scoperta dell'America o quella tra Ottocento e Novecento).
Comunque la si veda la cosa, una questione è certa: l'attuale globalizzazione tende a favorire soltanto uno sparuto gruppo di persone, enti privati perlopiù. L'utopia di una globalizzazione dal basso, multipolare e multilivello, che possa sostenere prima di tutto gli interessi dei cittadini del mondo, portata avanti dal libretto di qui sopra, è attualmente fuori discussione.
Ed ecco l'emergere di un gruppo di individui che sta conducendo una campagna basata su un nuovo concetto semantico: "Glocalizzazione", cioè un'unità di processi e direttive, che abbia come base il rispetto e la valorizzazione dei singoli territori e delle singole località. Impossibile direte voi. E invece certi esperimenti al momento paiono assicurare la bontà di tale intuizioni neo-globalista: ad esempio la comunità mondiale Terra Madre fondata dal Presidente di Slow Food, Carlo Petrini. La sua esperienza è contenuta nel libro omonimo (dal sottotitolo esplicativo: "come non farci mangiare dal cibo") che l'Autore ancora attende di leggere. Quindi per ora terminiamo qui, ma la riflessione verrà portata sicuramente avanti più avanti...

venerdì 29 gennaio 2010

Dumb: Debutta Un Mormone Barbuto. Da South Park a Brodway

Era una sera di luglio o di agosto, l'anno è ignoto ma il socialismo già furoreggiava nel paese del dollaro. Di fronte a una grappa edulcorata dal sapore del mirtillo un gruppo di figuri tristemente noti riesumava con eccessivo fragore quel noto episodio dello show televisivo South Park incentrato sul credo dei mormoni (precisamente è il dodicesimo episodio della settima stagione).
Più che la conoscenza da parte di Stan di una famiglia seguace di tale credo religioso, il fulcro narrativo di tale episodio risiede in una lunga narrazione sottoforma di musical delle vicende che ispirarono Joseph Smith Junior a originare una nuova concezione religiosa. Il coraggio dissacrante è più o meno il medesimo della puntata su Scientology, in linea con il profondo scetticismo con cui gli autori osservano le multiformi identità religiose.
I mormoni torneranno poi via via a fare capolino in alcune puntate dello show: in una di esse (la memoria in questo caso purtroppo nega alcun coinvolgimento) vengono addirittura designati come unici individui ammessi nel Paradiso...

Joseph Smith was called a prophet
Dumb dumb dumb dumb dumb
He started the Mormon religion
Dumb dumb dumb dumb dumb.
Dumb dumb dumb dumb dumb
Joseph Smith was called a prophet-
(ancora ignori il significato italiano della parola "dumb", usata così tante volte...bah...)

Ora come ora dalle pagine di Variety, Trey Parker e Matt Stone dichiarano di voler dedicarsi a un musical proprio sui Mormoni. Redenzione o dissacrante ironia?
L'ultima volta che avevano tentato qualcosa di inedito rispetto alla serie di culto se ne erano usciti con la pellicola Team America, esperimento narrativo con un cast di marionette. Robetta o poco più. La gioventù li assiste, staremo a vedere cosa potranno produrre.

martedì 26 gennaio 2010

Già lo giurò Giolitti

"Se la magistratura si adopera come arma politica non tarderemo a veder demolito ogni principio di autorità e prepareremo giorni ben tristi al paese. Quanto a me personalmente tutto ciò non mi commuove. Ho modo di provare la falsità di qualunque accusa, se me ne astenni finora fu per non provocare scandali peggiori di quelli che si ebbero"

Giovanni Giolitti, 24/10/1894

La politica italiana non cambia. Questa è l'unica consolazione.

Un Partito Disastrato


Belpietro questa volta è stato assai efficace. Preciso e puntuale come mai prima d'ora.

domenica 24 gennaio 2010

Rompiamo la maledetta campana di vetro sulle note di Passengers

Scazzo post in questa fredda Domenica. Di quelli che segnalano video e poi fuggono via, chi si è visto si è visto. L'Autore, nonostante le convinzioni di molti, non è regredito a cinque-sei anni fa, ma si è beccato soltanto un malanno di stagione, le cui fattezze sono ancora da delineare (non esistendo le stagioni che tu, lettore, intendi in senso matematicuspurisiano. E anche dei malanni non c'è poi molto da fidarsi).
La canzone di qui sotto è "The Passengers" di Iggy Pop e Rick Gardiner. E' tornata in auge di recente accompagnando il trailer di "Tra le nuvole", film di Jason Reitman (regista di Thank You for Smoking e Juno, prelibatezze cinematografiche), già Golden Globe per la sceneggiatura; purtroppo, però, tale canzone non è inserita all'interno della pellicola, forse perchè non c'entra un cazzo col plot.
Vabbè, The Passengers. Anno del Signore 1977. Un secolo fa più o meno: quando l'Unione Europea era ancora un timido sogno, l'URSS faceva morire di fame milioni di "compagni", gli USA provavano a risollevarsi dopo i malumori subiti in terra vietnamita. Essere un passeggero nel millenovecentoesettantasette voleva dire molto, moltissimo. "Io sono un passeggero/e sto sotto un vetro/io guardo attraverso la mia finestra così luminosa/io vedo le stelle venir fuori stasera/io vedo il cielo tetro e lumninoso": ecco la sensazione predetta, come essere sotto una campana di vetro, osservare ma non poter agire. Le frontiere non devono sussistere, il via vai di merci, persone, idee deve essere inesorabile, cristallino, potente. La Cina ormai lo sta imparando a proprie spese: non è in grado di imbrigliare sotto una campana di vetro quasi due miliardi di persone. Il sogno di quello Studente di piazza Tienanmen vent'anni or sono sta pian piano avendo luogo...
"E tutto è stato fatto per me e te", compagni di questo viaggio...


Two small pieces of soul in Milan

Dopo sei mesi e passa forse si inizia a capirci qualcosa. Non dei milanesi, ma di certo della città. Che è fondamentalmente dotata di due anime antitetiche, come d'altronde talune dottrine filosofiche propagandano da secoli.
C'è la Milano che cresce, che prolifica, che svetta verso l'internazionalità con impeto oserei dire secessionistico (vedi il recente grattacielo della Regione Lombardia "l'altra sede" in Melchiorre Gioia), la Milano eccellente, che osa, che ostenta il proprio lusso, che si mette in mostra. C'è la Milano da bere. La Scala, il Duomo, Montenapoleone, stazione Centrale, il Pirellone.
Ma c'è inevitabilmente la Milano pacata, docile, intimistica, una città che si ritaglia minuti spazi di calma. E' la città che sente l'enorme peso della propria Storia, spesso assai dolorosa (vedi il "binario 21" che il 26 diverrà un luogo ove riflettere sullo sterminio degli ebrei operato dalle milizie nazi-fasciste). E qui i luoghi sono assai più sconosciuti, mistici e soggettivi: i giardini Mendelev (dall'altro lato della strada rispetto al grattacielo più alto d'Italia), il Naviglio all'imbrunire, Piazza San Fedele che si stringe silenziosa attorno al Manzoni, le sperdute stazioni della metropolitana.
C'è molto da scoprire diradando smog e assestando un cartone al freddo, c'è davvero tanto da scoprire. Ma in fin dei conti c'è da scoprire sè stessi e il cammino è così lungo...


mercoledì 20 gennaio 2010

James Cameron's Avatar: è il sogno che incontra la realtà o viceversa?

Quando lasci Pandora per fare ritorno sul tuo "pianeta morente" hai capito veramente tutto. Ed è in quel momento che puoi finalmente aprire gli occhi. Ritorni alla vita e sei conscio del fatto che Avatar di James Cameron è un'opera che oltre a far man bassa di premi, ha posto un punto di svolta all'interno della cinematografia. Mondiale.
Avatar è la migliore dimostrazione che con investimenti sulla tecnologia si possono far progredire le idee. E raccontare una storia che parla di tutti noi. Alieni in casa nostra.
La trama la si conosce: Cameron insiste su questo marines (che si è fatto le ossa nel Venezuela) costretto su una sedia a rotelle ritrova il proprio spirito combattivo e la propria vitalità quando calato all'interno del suo avatar, il corpo di un Navi, i "selvaggi" che popolano il pianeta di Pandora. Interpetrato da Sam Worthington (Terminator Salvation), è un giovanotto un poco spocchioso, indisciplinato, sarà gli occhi dello spettatore nell'esplorazione dell'incontaminato Pandora, il suo sguardo fanciullesco e puerile aiuterà la sensazione di meraviglia nel dispiegarsi della flora e della fauna del pianeta, il quale è un "tutto vivente" in uno slancio validamente panteista. Il paragone viene avanzato rispetto al sistema di interconnessioni della rete informatica, ma è una sensazione semplicistica e pregiudiziale, come Cameron ben sa: ogni essere vivente si nutre e restituisce la propria energia in uno scambio continuo, infinito e involontario tra il pianeta e i corpi viventi. L'equilibrio è garantito da un albero sacro, divinità immanente, sempre pronta ad elargire segni alla popolazione: un concetto religioso primitivo finchè si vuole, ma esteticamente inoppugnabile. Pandora è un mondo vibrante, vivo, ricolmo di colori, di suoni, di musiche, è un sistema in stabile equilibrio garantito da alcuni alberi secolari. Dispiace quindi che alcuni recensori (Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede) non abbiano valutato le conseguenze filmiche e artistiche di una simile scelta, limitandosi al solo raggio interpretativo cristiano-cattolico: "La natura non è più la creazione da difendere, ma la divinità da adorare - vi ha scritto Gaetano Vallini - mentre la trascendenza si svuota materializzandosi in una pianta e nelle sue bianche liane che nutre gli spiriti diramandosi nella forma di un vero e proprio panteismo".
Sull'intero significato del film, però, spende ancora meno parole, nel tentativo di sbrigare quanto prima la faccenda: "la tecnologia non riesce a tradursi in emozione, e la storia si perde in un polpettone sentimentale", riducendo il tutto ad "una parabola antimperialista e antimilitarista facile facile, appena abbozzata". La critica ad una forma di neoimperialismo e war economy è presente, palpabile, viva (l'affermazione più sarcastica è quella pronunciata dal Colonello Miles Quaritch, "combatteremo il terrore con il terrore" in un eco alla politica estera americana degli ultimi anni): le battaglie sono sì spettacolari, si susseguono frequenti e frenetiche, gli effetti speciali avviluppano lo spettatore, si dipanano nella loro eleganza, ma fortunatamente manca (con una certa eccezione nelle fasi finali) quel senso drammatico, patetico che domina con eccessiva frequenza i "polpettoni" bellici hollywoodiani. La vicinanza è con Apocalypse Now di Coppola, specialmente per via del fatto che i marines combattono con mitra e bombe, mentre gli indigeni con archi e frecce: una lotta impari, improbabile e tale rimane sulla carta.
E non è vero che Avatar non emoziona: la storia d'amore che è uno dei fili conduttori dell'intera pellicola incanta e affascina per le sue tinte platoniche. Le due anime si incontrano nella condivisione reciproca e con l'ambiente circostante, il quale infine sancirà ufficialmente la loro unione. E' un gioco di sguardi, di sensi, di odori e sapori: una sensualità accesa eppure sopita, che si rivela un motore supplementare nella visita di Pandora.
Il protagonista del film è il pianeta, pochi cazzi: la tecnologia che lo dipinge è di prim'ordine, avanguardia stilistica e tecnica, emoziona, coinvolge, spinge a un percorso individuale e d'apprendimento. In tal senso Avatar è un'esperienza iconografica, una, spregevolmente parlando, immensa tech demo: insomma, Cameron ha fatto bene ad attendere la tecnologia necessaria per impiantare i propri bozzetti e pensieri su celluloide. La grafica, la tecnica, la costruzione informatica è il pilastro centrale di tale kolossal, ma è l'uso che se ne fa a lasciare sbalorditi, il continuo corrersi e rincorrersi di remoti angoli di foresta, dettagliati e intimistici, con ampie vedute, sconfinate e globali. Non un male, come invece si è espresso Andrea Bedeschi dalle pagine di Everyeye: "Se in tutti suoi lavori Cameron ha sempre subordinato la tecnica e la tecnologia a disposizione, mettendoli al servizio della narrazione e di un messaggio che poneva sempre l'uomo al centro del tutto, dispiace constatare come in Avatar il processo si sia invertito: tutto pare un enorme benchmark delle possibilità del nuovo cinema".
E in tutto ciò la tecnologia 3D si rivela utile, quasi indispensabile come mai prima d'ora: l'intenzione del regista era di catturare il giocatore con immagini tridimensionali, non di farle esplodere oltre lo schermo. Beh, ci è riuscito: non era vero, come sostenuto caparbiamente dall'Autore, che tale tecnologia fosse poco più che un inutile orpello, non di certo lo strumento per una prossima progressione della settima arte. Il giudizio rimane più o meno il medesimo, ma a seguito della visione di Avatar (dell'esperienza su Pandora) il 3D non fa più così paura: è perfettamente integrato nella pellicola, diventa una cosa naturale, quasi da non farci più caso, una naturale estensione dello "spazio filmico" al cui centro vi è lo spettatore.
A dispetto del comparto tecnico, la colonna sonora (fissa nelle mani di James Horner, già autore delle musiche di Titanic) non brilla, assolve il compitino di commentare le vicende del film indecisa tra un impianto epico (ravvisabile nel main theme, giammai dispiegato in tutta la sua potenza) e uno etnico (per connotare musicalmente i Navi si sono scelte delle musiche ispirate dalla cultura africana).
Ottime le performance attoriali, perfettamente a loro agio in un perenne contesto di girato in motion capture (nessuna ripresa in campo aperto, l'intero film è stato girato in studio): una Sigourney Weaver che rinasce in un ruolo cucito su misura (lontano comunque dalle ammalianti interpretazioni dei due Ghostbuster e, naturalmente, più vicino agli Aliens), una Zoe Saldana (Neytiri) che imposta la recitazione in una forma molto fisica e sensuale (la grazia è in lei, nessun efferato erotismo).
Tirando le somme Avatar è una scommessa vinta (la tecnologia non preclude un coinvolgimento emotivo e, udite udite, poetico), una effettiva svolta all'interno dell'arte cinematografica, "sull'integrazione di elementi reali - conclude Bedeschi - con altri frutto solo ed esclusivamente del cervello dei computer e dell'estro artistico di chi quei computer li adopera, ed è un overflow di fastosità che colpisce duro (in senso positivo) l'occhio dello spettatore".
Non è il futuro del cinema, o comunque non è il cinema che gradiresti vedere per tutti gli anni a venire, ma è un'opera che ti rapisce, ti sbatte qua e là, richiede il capitombolo di alcuni assunti personali formulati sull'evoluzione del cinema. Ma quando riapri gli occhi e Pandora non esiste più, nelle tue mani stringi un cumulo di bit, giochi con la mente: il sonno criogenico può continuare, almeno fintantochè qualcuno raccoglierà la sfida di Avatar, il guanto di sfida del "re del mondo".


Avatar è un videogioco.
Vario e copioso è l'immaginario interattivo che permea l'opera di James Cameron. Sul dilemma tecnologia/sceneggiatura se ne potrà parlare (molto volentieri) in altra sede. Al fianco di una meditazione sulla figura dell'Avatar, alter ego, sul sistema di linkaggio e interconnessione, si possono tendere notevoli rimandi a titoli importanti del panorama videoludico: Halo, Panzer Dragoon Orta (entrambi accomunati da una compenetrazione tra tecnologia e natura), con un pizzico di Mechassault.
Resta quindi inconcepibile afferrare come Ubisoft sia stata in grado di realizzare un tie-in dal film definito univocamente una "porcata". E dire che in precedenza con il King Kong di Jackson, affidato alle cure di Ancel (paparino di Rayman) si erano dimostrati perlomeno professionali.

venerdì 15 gennaio 2010

Cosa sei andata a fare sopra a Posillipo?

La campagna illuminata dal sole mattutino pare un ricordo lontano quando il vagone le passa accanto con estrema noncuranza. E' taciturna, è seduta un sedile più in là e fissa compostamente dinnanzi a sè quel vuoto fatto di stoffa bluastra. Non accenna sorrisi, raramente si volta, rimembra nei suoi pensieri, chissà cosa diavolo sta cercando negli anfratti cerebrali.
Estrae dappoi un quadernetto di pelle nera, all'interno vi è uno specchietto e con un gesto pacato e rilassato si sistema una ciocca di capelli fuori posto. Sono neri, neri come l'oscurità...
Ha una maglietta color rosso, rosso fuoco, proprio come i suoi capelli. Ci gioca, è sbarazzina, parlotta sottovoce, pare divertita. Negli occhi si legge la perfidia, ma anche un inguaribile timore. Celato, sopito.
Ma quella semplice sciarpa marrone stenta a nascondere il suo viso spoglio, struccato. Prende sonno, i lunghi capelli le coprono il volto: la contrita posizione si riflette sul finestrino. Il suo languido sguardo, il suo gentile sorriso è un'ombra che svolazza sulla campagna all'imbrunire.
Ma tu, tu, cosa sei andata a fare sopra a Posillipo?

Caro Yoshito Usui...

L'11 Settembre scorso il mondo si è visto privare di una delle sue menti più sfavillanti e vulcanee. Il mangaka Yoshito Usui, l'uomo che per vent'anni ha sceneggiato e disegnato le avventure del piccoletto Shinchan. Le sue tavole sono inedite in Italia, dove il soggetto è maggiormente conosciuto attraverso l'adattamento televisivo in onda tuttora su Cartoon Network e Boing.
Quando l'Autore pensò a quali modi fossero in suo potere per valorizzare l'opera e celebrare la carriera di Yoshito Usui; gli venne in mente uno speciale, sul melanconico andante, smielato e nostalgico, che avrebbe suggellato dietro dati biografici e critiche d'arte tutto l'amore che l'Autore nutre nei confronti dello spensierato umorismo infantile portato avanti dal discolo Shinnosuke Nohara. Hanno risposto fiduciosi i pezzi grossi della sezione Anime del network Everyeye.it, che hanno atteso con pazienza l'interminabile stesura (due mesi o poco più: comprensibili vista la tematica dell'articolo, essenzialmente un compianto funebre): rinviene a galla questo pomeriggio come si può notare dalla home del sito in una veste "biografica", facente parte di un più ampio progetto che ha già visto mesi or sono un excursus sulla figura di Stan Lee.
Forse non era la collocazione cui l'Autore aveva pensato, ma non vi sono altri modi di parlare di Usui a così poco tempo dalla tragica scomparsa.

mercoledì 13 gennaio 2010

tuttoSonic & tuttaSega mega All-Star Racing

Sega, la mitica Sega, ci sta dando dentro con i giochi in questi giorni. Ma non videogiochi (e Bayonetta cosa e' allora??? ndAutore), semplici trivia quiz che hanno inevitabilmente scatenate la bavetta alla bocca dei tantissimi fans.
Project Needlemouse (il cui titolo non si è ancora ben capito cosa stia a significare) sarà l'ennesimo gioco di Sonic, questa volta destinato al digital delivery. Di cui nessuno ha ancora visto nulla: alcuni pensano che sarà un capitolo molto simile a Sonic Unleashed, con una totale propensione per i livelli diurni (e questo sarebbe assolutamente il massimo), alcuni vogliono credere che sarà un Sonic molto vicino dal punto di vista iconografico ai primi capitoli (molto probabile, visto il successo riscosso dai remake via Live Arcade dei platform per Megadrive). Attraverso Facebook Sega in questi giorni sta tediando la mente dei propri fans con alcuni quiz utili per disvelare alcuni personaggi impersonabili nel gioco. Chissenefrega...
Ben più importante è il fermento attorno a Sonic & Sega All Stars Racing oramai in dirittura d'arrivo ("early 2010" a casa mia significa Febbraio, se non Marzo: spicciatevi!!) proprio perchè si sta andando a completare il rooster dei personaggi e veicoli presenti nel gioco: e se la precedente festicciola di Sega Superstar Tennis aveva lasciato l'amaro in bocca riguardo ai personaggi utilizzabili, il racing game di Sumo Digital avrà un sapore ben più agrodolce, zuccherato. Che all'Autore sinceramente inebria ancora di più...
Già la presenza di Ryo Hazuki e del suo muletto è un atto d'amore inarrivabile da parte di Sega verso i suoi innocui finanziatori, già Billy Hatcher è una new entry doverosa (sequel! sequel!), già Banjo Kazooie impreziosisce il cast della versione Xbox 360 (anche se lo scettro di mascotte più puttana dell'universo videoludico non glielo leva nessuno: Nintendo, Microsoft, Sega). Già, già, già: ma l'ultimo trailer vuole anche Ulala su un hovercraft (!?!), Joe sul suo tassì (Crazy Taxi), Eggman su un Monster Truck.
Ma i rumor sono decisamente più confortanti: il sito ufficiale del gioco è pronto a scommettere sull'inclusione della Ferrari Testarossa di Outrun 2, su Beat di Jet Set Radio, su Akira e Yuki di Virtua Fighter (OMG), sui Bonanza Bros, Opa Opa da Fantasy Zone, Chu Chu (dal puzzle game Dreamcast Chu Chu Rocket).
Estiqaatsi...pensa che sarà un racing game magnifico, almeno quantitativamente. Confermato un mission mode (una via di mezzo tra quello di Outrun 2 e Sega Superstar Tennis va benissimo), ma sopratutto ventiquattro, ventiquattro fottute piste, ognuna ispirata a un classico Sega (la Green Hill Zone, il mondo ghiacciato di Billy Hatcher, l'esotica ambientazione di Samba de Amigo e ora sembra anche una gita tra i grattacieli di Jet Set Radio).
Appuntamento con la release date per uno dei titoli più intriganti di questo inizio 2010. E forse stavolta si riuscirà a dare un significato al porcospino su quattro ruote.

lunedì 11 gennaio 2010

Elefanti su quattro ruote

Il nome di questo spazietto è De Re Ludica, lo si può intravedere tra gli imperiosi poster di Dragon Blaze e Guwange (l'intestazione è provvisoria e sarà modificata non appena l'Autore smetterà di torturare samurai in Guwange e si dedicherà a qualche programmino di grafica. Cosa che non avverrà in tempi brevi data l'invidia manifesta del signor Blaze, Dragon).
Ma, come molti lettori fanno notare, fino ad ora non si è per niente parlato di "de" (??), nè di "re" (parliamone, nessun problema, a patto che qualcuno segnali un monarca con un cazzo di potere degno di questo nome: esclusa la possibilità di rompere le scatole dieci anni dopo dicendo che lui si era opposto a una seconda guerra del golfo. Contasse politicamente almeno la punta della stilografica con cui confeziona certi "regali") e neppure di "ludica". Il gioco, il sano divertimento manuale...
Ora un post su Mago Libero o Rubamazzetto è sempre il benvenuto, ma poichè qualcuno concede con entusiasmo spazi sempre più ampi (ahia, somebady help me!) in anfratti telematici per discutere di videogame e della loro perenne guerra con tutto il circondario artistico, culturale e sociale, forse è d'uopo narrare talune imprese anche qui, in questa cavernucola dove vivi solo e qualcuno di tanto in tanto bussa per portarti un poco di mammut avanzato. Le ali sono la parte più deliziosa, ma siccome anche qui Darwin ha fatto lo scherzo di levarle una ad una, una coscia va più che bene...

Dunque si diceva che è giunta l'ora di parlare di questi videogiochi, prodotti di intrattenimento interattivo, che da quasi dieci anni hanno ipotecato il tempo libero dell'Autore. Egli ha per il momento evitato precisi riferimenti, proprio perchè videoludicamente l'ultimo periodo è stato piuttosto calmo. L'unico prodotto significativo a cui è stato dedicato un certo quantitativo temporale è stato Rallysport Challenge.
Vecchio, ormai di una generazione fa. E' un titolo spesso dimenticato, ma che in realtà ha moltissimo da dire. Sviluppato dagli svedesi DICE (che poi insieme ad EA hanno dato il via alla serie Battlefield per poi aspirare all'olimpo con Mirror's Edge, lodevole tecnicamente, assai spoglio come giocabilità: e in queste pagine la giocabilità regna sovrana!) si è visto inizialmente su PC e poi anche al lancio dell'Xbox (era il secondo anno di "questo fottutissimo secolo"). E qui già il primo inconveniente: Project Gotham Racing di Bizarre gli ruba la scena.
Eppure la versione console non è abominevole come si potrebbe pensare, visto che allora molti criticavano la macchina Microsoft ritenendola troppo simile ad un PC. Rallysport Challenge è un prodotto che all'interno di una veste arcade (poche varianti da tenere conto, tutto un gioco di pressione dei dorsali tra freno e accellerazione) pone una struttura votata al professionalismo (com'è tipico dei racing su computer). Un titolo molto esigente, ma capace anche di offrire una guida spensierata e abbastanza libera. Graficamente lodevole (ma su questo il 128 bit Microsoft ci ha abituati sin da subito bene: texture pulite, poligoni non in numero così alto ma abbastanza da fornire un contesto il più fotorealistico possibile), si fa valere per un doppiaggio italiano discreto (per quanto da Sega Rally in poi, l'espressione "easy left" ha un impatto maggiore che "curva semplice a sinistra", specialmente perchè quando lo speaker italico ha terminato la sua frase la curva semplice a sinistra è già stata raggiunta, effettuata e si è pronti a ripartire verso l'ennesimo burrone).
Sicuramente in altri anfratti Rallysport Challenge avrà l'ornato linguistico e critico che merita, ma qui basta un consiglio. Trovatelo, spulciatelo e giudicatelo: è o no l'ennesima perla dimenticata della prima Xbox?

venerdì 8 gennaio 2010

Il mercato delle vacche del senatur


Il primato della Lega Nord ad oggi è uno e uno soltanto: l'essere la più anziana compagine partitica presente nel nostro parlamento. Il che, politicamente, ha il suo grande peso: per quanto si possano fare molte opinabili considerazioni sul suo programma, non si può negare la forza di tale partito.
Essa è presente nel 1987 in Senato con due senatori (uno è Umberto Bossi), ma è nei primi anni novanta che concretizza i primi successi: è l'unico partito della prima Repubblica a non collassare e anzi ad incrementare il proprio seguito.
Nel 1993 il grande giornalista di Repubblica Giorgio Bocca era in via Arbe a Milano per intervistare Umberto Bossi. Colorito e cordiale il senatur fornisce la sua spiegazione del tracollo di PSI e DC, nonchè dell'avanzata del suo partito, che Rokkan non esiterebbe a definire "regionale": "non volevo entrarci in politica, venivo da una gioventù balorda, ma quando tu capisci una cosa e ne sei certo, come fai a piantarla? La cosa che noi avevamo capito era che il centralismo era in crisi, e che il sistema dei partiti consociati (pentapartito ndr) faceva acqua da tutte le parti. Vedevamo che quel modo di fare politica era basato su degli automatismi: se hai il denaro comperi consensi, se hai i consensi vinci l'elezioni e ottieni il potere, se hai il potere ottieni altro denaro".
Tutto giusto, perfetto, senza una grinza: la democrazia consociativa era la totale degenerazione di quel percorso avviato da Moro con il Centrosinistra e proseguito poi negli anni '80. Un sistema per rafforzare la partitocrazia e ledere le forme della democrazia. La crisi nella democrazia era inevitabile...
"Non si sono accorti - prosegue Bossi - di noi negli anni in cui potevano schiacciarci, ma noi eravamo come gli indiani che tirano frecce e spariscono, o come gli alieni, gente di un altro pianeta. Non capivano il nostro linguaggio, proprio non capivano chi potessero essere questi provinciali che non si occupavano della lotta di classe. Non capivano che stavamo facendo politica anche occupandoci solo del dialetto e delle tradizioni della nostra nazione lombarda".
E ancora, culturalmente opinabile, politicamente solido: con la caduta del bipolarismo USA-URSS in Europa crollano i partiti comunisti e decade la preminenza dell'ideologia nel dibattico partitico. Essa era sì una fonte di odio e di opposizione, ma aveva una valenza ordinatrice e fungeva da maschera per nascordi i porci affari delle forze partitiche.
La crisi ideologica, induce la Lega a fare leva sul regionalismo, tutelare gli interessi del nord-italia, promuovere una pulizia dei terroni e un federalismo fiscale tale da neutralizzare l'ingerenza di "Roma ladrona". Lo scopo era non tanto quello di risultare simpatici a tutti quegli elettori moderati, sospesi tra il PP e i DS, ma risultare preminenti in Piemonte, Veneto e Lombardia, accaparrarsi la maggioranza dei voti in queste tre regioni prima che lo faccia qualcun altro.
Il 1994 è l'anno in cui la nuova legge elettorale maggioritaria entra in vigore: per un partito sostanzialmente insignificante su base nazionale ciò costituirebbe un grosso ostacolo, ma invece la Lega Nord risulta indispensabile per la vittoria della coalizione guidata da Silvio Berlusconi. In sostanza, nei collegi in cui il partito padano era determinante per la vittoria del centrodestra il seggio disponibile sarebbe stato attribuito proprio a candidati scelti dal senatur. Questo non si applicava dalla Romagna in giù, ma in sù era assolutamente indispensabile per conseguire la vittoria.
Una simile strategia si ripetè nel 2001, quando ancora Berlusconi fu nominato capo del governo. E prosegue tutt'ora, a maggior ragione con un ritorno al proporzionale (ecco perchè si è schierata contro al referendum del Giugno scorso che voleva abrogare parte dell'articolo 83 della costituzione eliminando le ipotesi di presentarsi alle elezioni in coalizioni di liste).
E' un partito che, nonostante certe divergenze a livello culturale e programmatico, si merita tutto il successo che ha ottenuto: giusto ieri sera nella faziosa trasmissione Annozero, l'onorevole Castelli ha fortemente criticato le difficoltà dei partiti di centrosinistra di organizzarsi coerentemente per le prossime regionali (in studio era altresì presente l'attuale Presidente della Giunta Regionale della Puglia da diversi giorni al centro di una accesissima diatriba con il PD e l'UDC); Bossi è sceso ad Arcore e in cinque minuti ha contrattato con il leader del PDL che il Veneto va a Zaia, il Piemonte a Cota e la Lombardia a Formigoni. Questo l'Estate scorsa, tagliando fuori dalla partita Casini, ma sopratutto garantendosi un'ampia risonanza elettorale.
In queste tre regioni la partita è ormai già conclusa e l'opposizione dovrà arrancare per non incappare in una totale sconfitta.
Insomma la Lega Nord continua a ribadire un principio di trasparenza e di vicinanza ai cittadini. La loro decennale storia in parte gli da ragione, ma il suo compito non si è ancora concluso.
"Dobbiamo dirvi grazie barbari?".

martedì 5 gennaio 2010

Msn è un programma bello!

Che Msn sia un programma di merda lo si sapeva già da molto tempo. Che con il passare delle versioni, con i dannati aggiornamenti obbligatori si rende sempre più deplorevole. Ma è bello poter tenersi in contatto con i propri amici, partecipare a chat multiple nelle quali c'è sempre uno che non riesce ad accedere o viene espulso fuori improvvisamente. E' bello saltare sulla propria sedia non appena qualcuno ti trilla solo per segnalarti l'ennesimo contributo di Youtube. E' bello dialogare con qualcuno e non capire una ceppa di quanto abbia intenzione di proferire solo perchè maschera il proprio messaggio con assurde emoticons. I messaggi si trasformano in complessi codici alfanumerici, impossibili da decifrare (decrittare) per la fragile mente dell'Autore.
Qualche giorno fa un giovane sviluppatore italiano ha accettato una richiesta di intervista: solitamente la prassi vede il recapito alla casella mail di un questionario con alcune domande, ma dal momento che l'uomo fisiologicamente non è in grado di studiare tutto il giorno diritto pubblico si è ben pensato di imbastire una sorta di chiaccherata via messenger così da dare luogo a qualcosa di più simpatico e interessante. Il programma bello ha ben deciso di remare contro: imbarazzanti silenzi frutto di incomprensioni derivanti dal fatto che a discrezione del programmino di instant messaging taluni messaggi non apparivano.
A intervista conclusa l'Autore ha provato a scherzarci sopra: "la prossima volta uso la chat di Facebook".
E l'Autore odio visceralmente quest'ultimo servizio virtuale, ma per il momento preferisce non pronunciarsi. Meglio non scandalizzare la copiosa platea (Manzoni faceva il modesto, tu no!) con incresciosi intercalari e imprecazioni.

Nell'unico video: la verità di un omuncolo italiota dal dubbio accento. Le agghiaccianti verità di una rete dominata da bimbiminkia. E appoggiata da Antonio Di Pietro.

domenica 3 gennaio 2010

Latte contro panna in a nazi-occupied france

La domanda non è per quale motivo il regista abbia inquadrato il vassoio della panna, la domanda è perchè lo abbia inquadrato così a lungo.
Parliamo di Bastardi Senza Gloria di Quentin Tarantino, miglior film del 2009 a detta dell'autore.
Il fotogramma qui sotto è, a detta di qualcuno, il fotogramma più inutile dell'intera pellicola. "A me non dice nulla", eppure è, a detta di qualcun altro, la chiave per interpretare la regia del film.
Ora, in questo frangente dell'opera si crea un conflitto di interessi tra il "latte" e la "panna": dopo la prima scena ritorna il colonnello delle SS Hans Landa (l'attore è magistrale) e il latte potrebbe richiamare quanto servito dalla famiglia Lapaditte, una sorta di collegamento a significare che il personaggio continua a perseguire l'obiettivo di sterminare gli ebrei nella Francia settentrionale. Eppure tale valida argomentazione viene smentita totalmente dall'ultima scena, in cui Landa smentisce totalmente di essere affezionato al soprannome che gli hanno affibbiato (il cacciatore di ebrei), dopo che aveva affermato l'esatto opposto all'apertura del film.
Inoltre il privilegiare la candida bevanda equivale a considerare una visione del film basandosi sulla sceneggiatura, laddove la panna è un mero attributo registico.
Ne consegue, beh nulla: richiamare l'opulenza nazista e la loro presenza come dominatori in Parigi non conduce a nulla e anzi risulta fuorviante. E' comunque chiaro il tentativo di infastidire Shoshanna, calandola in un contesto poco familiare in compagnia del "cacciatore di ebrei" e sterminatore della sua famiglia.
Ma forse è un altro elemento del modo di girare (video)ludico di Tarantino, cosa che all'autore fa impazzire. Egli gioca con gli attori, gioca con la telecamera e sopratutto gioca con la sceneggiatura, plastica e molto esile. Kill Bill pare un videogame e pure i film precedenti hanno quel non sò che di videoludico. Ma qui si sconfina e si ritorna a un argomento già trattato altrove.

sabato 2 gennaio 2010

Deliri istituzionali (con impepata di citazioni giuridiche)

Brunetta, Renato (brr...), è spesso ricorrente nelle divagazioni sulla pubblica amministrazione, nonchè un metro di paragone per ampie battute sul parentado. Senza peli sulla lingua.
Ma prima di essere ministro, egli era semplicemente basso. E lo è tutt'ora...
E in tal senso si ride ancora per quella battuta di Crozza di due tre anni fa in cui raccontava di una disperata ricerca del ministro tra una Venezia sofferente tra l'acqua alta: è pietosa, ma per qualche strana ragione rimane impressa. Più strana che ragione...
Nella sua fulgida carriera politica ("ma chi lo hai mai visto chissà") si lancia dapprima in collaborazioni con i governi della prima repubblica, poi si invola verso Bruxell e infine eccotelo qui a fare il ministro. Col portafoglio.
Egli è uno di quelli che, come direbbe Benigni, "è partito socialista, ma è arrivato democristiano", seee, magari. Forza Italia.
C'è un pò di stima nei suoi confronti, ma c'è anche il timore per certe sue dichiarazioni. Tipo oggi dove se ne esce con uno dei suoi capolavori: "La riforma non dovrà riguardare solo la seconda parte della Costituzione, ma anche la prima. A partire dall'articolo 1: stabilire che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla".
Il primo articolo, che si impara a memoria sin da bambini insieme all'inno ben convinti che in futuro servirebbero a qualcosa (al 19 corrente mese forse la risposta), recita più o meno così: "L'Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro".
I principi generali non si possono cambiare e questo lui lo conosce bene. Piuttosto la preoccupazione cresce nel sentire dei progetti di cambio della Seconda parte del testo costituzionale: preoccupazione che spinge a dare l'esame di Diritto Pubblico prima della ventura modifica costituzionale (e quelli ai 2/3 alla seconda deliberazione ci arrivano, ah se ci arrivano).
Dopo pressapoco un giorno di intenso studio delle istituzioni della Repubblica si può ammettere che il dinamismo del diritto supera di gran lunga quello delle scienze matematiche. Il che è tutto dire...

P.S.: l'autore, noto protagonista di questo blog, si è rassegnato dal comparire anche in questo secondo scritto. "Fannullone, fannullone" tuona qualcuno. Non gradiva l'idea di un conflitto di attribuzione grammaticale tra il lei (autore) e il lei (Brunetta). Ma è un argomento che il braccio deve risolvere al più presto...

Devo fare la ca...momilla

L'inutile e il superfluo sono una parte molto importante della vita dell'autore. Come spiegare altrimenti le quantità abnormi di programmi televisivi che si sciroppa giorno e notte (South Park, la settantacinquesima replica di Simpson, American Dad, per non parlare del vecchio cruccio che ha nome di Sex and the city, e Letterman, oddio David Letterman). E video, e videogames, e colonne sonore, e giornali, e giornaletti, e fumetti, e...
Ma è innegabile il desiderio che lui cova di comprendere come va il mondo, di spaziare (troppo pigro per viaggiare, o forse forse no...). Vediamo un pò come funziona facebook: e l'autore ne crea un account per poi iniziare a criticarlo. Bene, così si fa. Vediamo un pò come funziona messenger: e l'autore ne crea un account solo per dirne di tutti i colori sulla spudorataggine di Microsoft, e la concorrenza e il libero mercato (guai chi tocca il libero mercato), blablabla...
Assorbita la routine si dichiara pronto a giocare a Call of Duty solo per criticarlo e ne diviene attratto, Satoshi Kon e ne diviene attratto, Pasolini e ne diviene attratto, la Pixar e ne diviene attratto...
Il mondo gira al contrario e di questo l'autore ne ha chiara veggenza (chiaroveggenza? mmm), ma questo non gli impedisce di lasciar stare le male lingue e gettare pensieri a vanvera in questa maledetto pensatoio. Non è qui per restare, ma è qui nevvero per iniziare a criticarlo.