venerdì 24 dicembre 2010

Corrado non ha la faccia da Corrado

Dell'eclettismo satirico dell'artista romano Corrado Guzzanti si è probabilmente già detto qualcosina su queste pagine: tipo qui nel suo concetto di globalolizzazione in Millenovecentonavantadieci (sì, è questo il nome dello spettacolo teatrale), oppure qua in cui si comunicava la notizia di un suo programma tv su Sky tutto suo (si farà, tipo ad Aprile) oppure qua che si elencava le battute che non aiuteranno questo programma Vieniviaconme.
Ma sono soltanto pillole, mere pisciate di traverso di un comico che negli ultimi anni a fronte a dispetto di chi chiedeva molte più apparizioni in tv si è ritagliato significativi ruoli in altre sfere dell'intrattenimento. Al cinematografo nel duemilaesei con Fascisti su Marte, un ruolo da messia squinternato in Settembre con La Passione e nei due ultimi anni passati nei teatri d'Italia per lo show Recital.
Ora che il suddetto arriva in DVD (scegliete l'edizione Feltrinelli con libretto allegato, non certo il cartoncino pieghevole dell'allegato all'Espresso+Repubblica a 11,90 euro più il prezzo delle baggianate fricco-comuniste) lo si può vedere e rivedere, impostare il fermo immagine sulle tette della Caterina Guzzanti sorella mentre imita sui idiosità Miss Italia (come fa o farebbe un qualcheduno), tentare di ricalcare la erre moscia di Tremonti o la variante bertinottiana.
Che dire comunque sullo spettacolo in sè: non male, un buon mix tra le comparsate de L'Ottavo Nano (ci stava il recupero di Vulvia, lo sapevatelo? sapevatelo su Rieducational Channel) e lo staticismo del tavolo, un prete e un aizzatore conduttore de Il caso Scafroglia.
Tutto funziona e tutto si incastra, quindi anche un Bertinotti che parla delle sue frequentazioni con il dottor La Porta (frattanto finito in una clinica psichiatrica a bucare palloni immaginari) ci può stare, così come un Quelo che dialoga con Funari che ora ci guarda da lassù.
Ci è da obiettare forse un eccessivo anticlericalismo, che si spande copioso dal salotto del caso Scafroglia per involvere altri personaggi, come Padre Pizzarro che discetta di dimensioni e infiniti universi paralleli in un recupero di uno sketch di qualche anno fa. Pazienza...


"Lei dice di sparire dalla scena politica, io dico di sparire dal mondo del visibile! Capovolgendo il pensiero buonista del Pd che dice di essere uniti anche nella diversità, noi diciamo invece: dividiamoci anche se la pensiamo tutto sommato nello stesso modo. [...] Microrganismi politici neanche rilevabili dall'elettorato: la sinistra deve tornare ad essere un mistero, sei tu che devi ricercarla ma ti sfugge continuamente. Noi siam come le lucciole, viviamo nelle tenebre" [imitazione di Fausto Bertinotti]

"Ne parliamo con padre Porcu. Paddre Pporcu" Questo padre sardo, ostinato, duro... Non sono sardo prima di tutto... Padre Porcu! Mi piacete, mi piacete... Non sono sardo! Non sono sardo! Ostinato, proprio, niente! Non sono neanche Porcu! Niente, proprio, decide lui! E' tutto come dice lui!" [Dialogo tra Corrado e Padre Porc...ehm, Padre Federico]

"Non neghiamo che ci sia qualche residuo focolaio di ribellione, come per esempio quello dei facinorosi della scuola materna di Sondrio. Alcuni quattrenni esagitati che hanno incrociato le braccia rifiutandosi di fare il pisolino dopo pranzo barricanbdosi dietro altissimi muri di Lego. [...] Ma non ci lasceremo intimidire da questi guerriglieri... Il paese è con noi! Abbiamo il 128 per cento di consensi! E continua a salire!" [imitazione di Mariastella Gelmini]

sabato 18 dicembre 2010

Mafia e videogiochi: perchè difenderli ancora?

Non lo so. Cioè di questa mania che abbiamo noi videogiocatori di difendere l'opera videoludica da attacchi di razzismo omofobia quant'altro. E Kinect ce l'ha su con i negri. Che ci fanno quei mulatti in Resident Evil 5? Ma davvero provate gusto ad uccidere i nazisti? E quelle bambine seviziate, sepolte vive e sbranate dai chiuaua?
C'è chi non gioca che se la piglia con chi gioca e chi gioca che se la piglia con chi non gioca perchè se la piglia con chi gioca. Della serie io gioco a quel cazzo che mi pare e tu fascio* tornatene in Abissinia.
Scontri di classe inverochè: come se io domattina andassi da un entusiasta lettore della Meyer (e ne conosco a bizzeffe), gli strappassi via il suo libricino di Twilight e gli dicessi "aho*, ma con tutti i libri stampati in questo megamicromondo che si chiama Italia, tu proprio quella merda dimportazione devi leggere" e te ne vai lacsiando alle spalle l'ultimo libro tipo d'Alfonso Signorini di cui non ricordi il titolo o quello di Vespa di cui in libreria c'è sempre sicuramente qualcosa da far razzia e porgerlo in dono ai lettori di sterco di mucca.
Si scherza a queste latitudini, specie perchè l'ora è tarda e le pecore tornano all'ovile e perchè (ma questo accade anche di giorno) vai a perderti in cazzate.
Dicevamo che a provocazione i videogiocatori rispondono: cioè, ma tu, nella tua praeclara* esperienza ggiovanile, adolescenziale e fintantochedura matrimoniale, ti sei indignato nel medesimo modo per Salvate il soldato Ryan, per uno Shining a caso, per un Mississippi Burning? Dimmi, dimmi,raccontami*.
Ma non sarà mica che noi videogiocatori altro modo non ne abbiamo di difendere il passatempo e l'espressione sottesa al testo videoludico solo in termini relativi e comparativi, mai assoluti. E qui si prende dentro pure il deplorevole accostamento videogioco=arte, assolutamente impossibile ora come perchè si basa sull'addizione (esperienza visiva, sonora, tattile, narrativa, recitativa) e non sull'unicum necessario che è il fattore ludico in quanto tale.
Pertanto finchè un esimio Onorevole s'impunta su Medal of Honor (per dire non sul Medal of Honor di turno, ma proprio sull'FPS di EA: come dire quello va bandito perchè ci sono i talebani cadaveri freschi freschi, mentre in Black Ops chissene se uccido vietcong morti, sepolti, mangiucchiati dai vermi e forse ora alle soglie del Purgatorio) o Sonia Alfano dei Familiari Vittime di Mafia (ne da notizia la versione online di EDGE) che chiede il ritiro dal commercio di Mafia II per poca rispettosità nei confronti di coloro che la mafia la hanno patita e subita con la morte del familiare.
Il videogiocatore che deve rispondere? Si in effetti va bandito, l'UE ne deve vietare la vendita, tanto 2K games ci ha investito milioni di dollari ma a loro poca importa di guadagnarsi lo stipendio e pagare gli sviluppatori. Oppure, tanto il gioco me lo son preso al day one limited edition, se lo bannate ora frega un cazzo*. Basta che non eliminiate i DLC dal PSN Store che ancora non li ho acquistati, sa com'è signora Alfano, aspetto il Deal of the Week. Oppure dovrebbe fare il maturo e dire questa frasetta: il videogioco è un mezzo d'espressione consapevole, profondo, narrativamente all'avanguardia (cough cough*) le cui peculiarità vanno oltre il mero intrattenimento per veicolare giudizi, pareri, interpretazioni e prospettive morali, filtrate direttamente dai panni del protagonista con il quale il giocatore deve instaurare un rapporto empatico e simbiotico.
Difficile, eh? Allora fai così: mi scusi signora Alfano, provi ora a ritirare VHS, DVD e Blu Ray di C'era una volta in America, poi ne riparliamo!
Quale delle due formule è la più semplice?

In Mafia II compaiono alcuni paginoni centrali dei Playboy di anni '60. Proposta interessante, peccato solo che il gioco si svolga nel proibizionismo anni '30. Com'era quel precetto? Quando vai nel passato non devi toccare nulla, è così?

* da pronunciarsi la parola affiancata come se si stesse masticando una cicca o una gomma americano o un fries chicken fa lo stesso, l'importante che appia veramente ggiovane e controreazionario

mercoledì 8 dicembre 2010

Un mondo visto da un autogrill

Una delle poche costanti della sua vita. E ora lo stava fissando, ne era imbambolato. Il piatto che gira, il fascio luminoso che rischiara l'interno, le micro onde a ripetere il quotidiano miracolo: il panino, pomodoro e salsa rosa, da molle e posticcio acquistava tutt'altra fraganza, tutt'altra sonorità.
Non è che sapesse fare bene i conti, nè aveva prestato mai particolari attenzioni a questo affare spinoso delle addizioni, ma la busta pagata - notoriamente misera - non fletteva mai: 3 anni e 4 mesi in quel buco della Milano-Venezia. Direzione Venezia.

Pensateci tre anni e quattro mesi di pomodoro e salsa rosa ogni giorno, ogni giorno sabato domenica e festivi. Giorno libero il martedì. Ogni giorno il microonde a riscaldare quel pasto già masticato da una mattina di caffè, cappucci e tramezzini, già degluittito da chiassose lamentele e strillanti onomatopee.

Dietro il bancone e davanti una vetrata, l'oblò che non guarda il mare ma lo stormo di migranti, imprenditori, viaggiatori, con le loro vecchie Passat cariche di valigie, di giochi d'infanzia, di gabbiette per animali. La sporcizia, la polvere e lo smog si lavano via dalla grande finestra due volte a settimana, ma la scena è sempre la stessa da tre secoli almeno: guidatori a stropicciarsi gambe e braccia, matrone sfavillanti nei loro broccati esotici a inseguire il figlio con il Buondì di metà mattina, scolaresche che volentieri si soffermano sulla pasta multicolore a forma di gamete maschile.

Oramai sapeva associare ad ognuno di questi tipi la colazione e il pranzo opportuno, richiesto usualmente scontrino alla mano e un'insana voglia di averlo presto, prima di subito. Era una cosa di cui ne andava particolarmente fiero mentre la raccontava ai colleghi grattandosi la pancia di panino pomodoro e salsa rosa quasi digerito.
E' come se ogni uomo, scandiva con aria da filosofo, fosse separato alla nascita dal proprio menù panino+bibita 5 euro oppure caffè+brioche 3,50 euro, con l'uomo che se ne vive bellamente e il menù che si compone via via secondo il ciclo naturale. Ecco, due specie di binari che corrono a lungo infelicemente per conto loro, sormontati da due convogli che si scambiano saluti a vicenda e si danno appuntamento alla prossima volta che sostavano all'autogrill.
Chissà perchè questa metafora dell'uomo che insegue il proprio panino+bibita 5 euro per gran parte della propria esistenza lo metteva di buon umore, gli forniva la necessaria carica per affrontare le del primo pomeriggio dove il Sole trasforma la stazione di sosta nella piazza centrale di Armadillo, fisiologico bivacco per i TIR, bestioni da deserto e carcasse calcificate. Il mondo passa per quell'autogrill, plastica e vernice rossa galleggiante sul mare d'asfalto tra il mare e il crinale, si sofferma a bere una Coca Cola o cede all'insolito panino dal nome risorgimentale, poi scioglie le briglie e riparte verso l'ennesima città fantasma, come se avesse affare urgenti da sbrigare qualche chilometro più in là e invece ancora ad assaggiare l'identico panino e mandar giù l'ennesimo caffè in cialda.
Un tour su ruote che alla fine ha analogo perimetro del piatto rotante del fornelletto dietro il bancone dell'autogrill sulla Milano-Venezia.



Racconto breve liberamente ispirato da Autogrill di Francesco Guccini: della serie idee originali mai, eh?
Della canzone manca la tematica amorosa, che magari sarà introdotta in una successivo capitolo. Se sopraggiungerà la voglia, beninteso...

La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-up, e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità, come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill, mentre i sogni miei segreti li rombavano via i TIR... Bella, d' una sua bellezza acerba, bionda senza averne l' aria, quasi triste, come i fiori e l' erba di scarpata ferroviaria, il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere...

Un po' freddina questa guerra

Call of Duty Black Ops, il primo videogioco della storia ad avere significativi cali di frame rate nei Credits finali, è per l'Autore una cocente delusione. Con le patriottiche immagini a conclusioni della vicenda ancora calde, ecco buttar giù le prime impressioni.
Dopo aver provicchiato i due Modern Warfare e dopo la marmellata di musi gialli di World at War, ecco che Black Ops te lo godi sul serio. E nella speranza di ritrovarti di fronte un grande titolo, degno del nome che porta e degno dei dediti ricami di Infinity Ward, il team nato e rifocillato a propria immagine da Activision (cioè cresta bassa e non esaltarti troppo per i lauti guadagni) Treyarch quest'anno saluta anch'esso la Seconda Guerra Mondiale e da vita a un setting atipico per la serie.
La Guerra Fredda e più nello specifico gli anni '60 del palcoscenico internazionale: dalla crisi dei missili cubani alla guerra in Vietnam. Videoludicamente parlando è proprio il conflitto asiatico a risultare il più appetitoso e difatto su Playstation 2 e Xbox (già, pure PC) ne sono usciti davvero un sacco di titoli ambientati tra le giungle del sud-est asiatico: ai vari Conflict Vietnam, Shellshock Nam, ecc... mancava l'adeguato pathos e il dramma bellico, ma ad alcuni mancavano pure adeguate meccaniche capaci mimetizzarsi tra la fitta vegetazione e quindi capaci di andare oltre lo sparo compulsivo.

Il retrocopertina riporta un giudizio di Everyeye.it: "il miglior call of duty di sempre".
Occorre dirlo: fail!

Black Ops in tal senso non fa del Vietnam il proprio Vietnam, ma sviluppa il gioco secondo una varietà eccellente, ben maggiore dei precedenti episodi della serie. C'è il Laos ma c'è anche una Kowloon stilettata dalla pioggia, c'è per giunta un Circolo Polare Artico invaso dai nazisti nell'inverno del'44. C'è una prima missione tra i ruderi coloniali di Cuba a massacrare comunisti danzerini castristi loro malgrado, c'è una seconda missione tra i ghiacci della Siberia nel tentativo di evasione da un Gulag (qui si parte da una chiave inglese come arma, poi ecco una pistola e così via sino ai giocattoli più goduriosi: un buon modo di trasmettere il potere al giocatore in seguito ai suoi successi). E qui meglio fermarsi con il conto delle missioni che altrimenti si spoilera troppo.
Nell'FPS Activision (di cui avevamo a suo tempo festeggiato il lancio italico) si spara e molto, si equipaggia sempre la mitraglietta con mirino Reflex, a volte si imbracciano megacannonigiganti (ma solo quando ce lo dice il gioco e solo quando ci sono quei dannati elicotteri checel'hannoconme da abbattere), se vuoi lancia una granata per bloccare il passo ad alcuni nemici.
Tutto normale quindi? E invece duole constatare come il meticoloso posizionamento strategico dei primi episodi è andato a farsi fottere dietro ad assalti condotti con poco cervello e molto muscoli dell'indice destro. Certo ci sono le solite missioncine sui binari coi mezzi, qui espansi a chiatte fluviali (interessante l'accompagnamento di Symphaty for the Devil dei Rolling Stone) e elicotteri pilotali e armabili. I velivoli dotati di elica (famoso lo scetticismo di Infinity Ward per qualsiasi cosa si librasse in vola, famosa la demo dell'E3 2010 di Black Ops con per l'appunto elicotteri a destra e a manca e bum bum bang bom) si rivelano comunque goffi e rozzi, comandati con un sistema di controllo tanto pressapochistico quanto quello delle astronavine di Halo Reach.


A questo punto resta da sputtanare la trama di gioco che definire scontata è farle un complimento: cioè ci sono sti numeri associati a non si sa cosa, un marines statunitense che ha un grosso mal di testa, un ribelle dai bizzarri costumi, uno spietato scienziato di Herr Fuhrer e un'arma in grado di annichilire gli USA interi. E anche un Fidel Castro che non vuole morire. Detta così sembra una barzelletta, ma non lo è: le barzellette sono chiare e lineari, le migliori le capisci subito e ne ridi per i giorni a venire, qui semmai non si capisce chi faccia chi, chi perchè faccia chi, chi si faccia chi e solo alla fine grazie al Cielo si sbroglia un pò la matassa. Difatti l'ultima missione è quella più valida come gameplay, perchè non vede le continue infiltrazioni di una trama di gioco che ancora parla della conquista del mondo e del solito milite americano debole e magrolino che salva la propria patria, da un calcio in culo al colbacco e si goda la pensione sull'Isola di Caprera.
Pura routine per chi c'era in Normandia, a Pearl Harbour, a Iwo Jima, in Medio Oriente e all'aereoporto moscovita...

sabato 4 dicembre 2010

Michael Bay has a secret

Michael Bay è regista affermato, regista che piace ai giovani, ai bambini, alle donne, agli stranieri e pure agli americani. Diresse Pearl Harbour che ti piacque notevolmente, se non altro perchè incontrava il tuo feticismo storico dell'early XXI secolo.
Lo ritrovasti qualche anno più tardi alla regia di quella merda cosmicoplanetaria che è Trasformers uno: cioè da apparecchi metà nippo metà merrighani anni '80 ondivaghi tra l'essenza dei mecha e quella delle micro machines a robottoni fighi sbang bum bang supergulp che salvano la Terra e forse pure il loro innominabile pianeta d'origine. Che poi a Bay va imputato l'indubbio merito di aver scaraventato agli onori del jet set pangalattico due pali della luce nel ruolo di primattori: al secolo Shiaia Lebopuef (si, non so scriverlo...) e Megan Fox.
Il seguito forse lo hai visto forse no, forse solo un pezzo, forse ti sembra di averlo visto incrociando per sbaglio il videogioco, ma di tutto ti ricordi solo la ghiacida australiana Isabel Lucas, poi ricomparsa in un cameo dell'episodio tra i canguri di The Pacific: parliamo di quella bionda occhi azzurri che nel film fa Alice e tenta di sedurre Shiaiaiaai, si proprio quella che estrae un arpione o robe così (mica ho conoscenze di tecnologia aliena) dal retro del proprio bel corpicino.


Si lo faccio per avere più visite...

Ora l'anno venturo dovrebbe esserci il terzo e si spera ultimo film dei Transformer. La macchina del marketing si mette all'opera, ma il buon Bay passa ad altro e gira lo spot delle vacanze natalizie 2010 di Victoria's Secret. Ora per gli esseri umani che capitassero tra queste aride pagine e, specie del virile sesso, che non conoscessero tale linea di moda va detto che tratta di abbigliamento intimo con quegli statunitebsi la cui bilancia non supera i 70 chili. Più o meno il 10 % da Los Angeles a New York...
Con linea di intimo Victori's Secret vanno fatte debite precisazioni:
- per gli uomini: è quanto si trova a metà tra la sciatta pornografia amatoriale di mura domestiche e rapporti interrazziali e le proprie quotidiane aspirazioni, mentali o pretese tali, in fatto di incontri sessuali. Cioè vedere, immaginare che si trova oltre il corpetto di pizzo o il perizoma quasi trasparente, ma non vederselo all'opera.
- per le donne: gran parte di voi non ha il fisico di una Adriana Lima, che per giunta neomamma calca con zelo le passerelle. Loro sono top model, voi over 70 (Kg) no. Indi vi perdete i maschili film mentali e pure la possibilità di esserne protagoniste.
E dunque l'ammiccamento sessuale di una lei, il desiderio erotico di un lui, cozza con la barbosità della vita d'ogni dì.
E quindi dai guardiamoci quale montaggio e quale effetto speciale alla carrozzeria dei Transf...ehr delle modelle ha apportato il nostro caro Bay.



martedì 23 novembre 2010

Delle 100 cose ludiche

Preso bene da vieniviaconme, segue l'elenco delle dieci più stronzate pubblicate nei primi 100 post di questo blog. E se ci scappa pure il commentino.
Legge una persona molto speciale, che noi siamo molto contenti di avere qui con noi: l'Autore!

- Devo fare la ca...momilla: già, primo intervento, chiarificazione immediata di come leggere queste pagine è perdere tempo
- E' una star di un telefilm, è nero, indossa un'armatura e si chiama Dante's Inferno: EA sa come vendere il suo merdoso action in nippolandia
- Che Msn sia un programma di merda lo si sapeva già da molto tempo. Che sia un programma bello solo ora.
- "E' di Mitsuda!!", "No è della Kajura", "Tua madre è una baldracca", "La tua è Nomura", "Nooooooooooo"... :|
- Cosa rispondere a uno che vuole convincerti che tu non sei di Olgiate? Che lei emerito elettore è un finocchio!
- C'è qualcosa di perverso nel far amicizia con questo increscioso avvenimento fisiologico, noto ai matematicus purus come epistassi: si, ogni tanto, ti capita di perdere del sangue dal naso. Embè?
- Idioti. No. Un Live Action della Città Incantata. Ma cazzo vi frulla? Presto ritorneremo a sfottere gli americani, dico bene mr. niusuic?
- Che cazzo frulla il mio cervello? Da quali ossessioni scaturisce labbalena e il metrò allagato?
Che cazzo frulla è espressione ricorrente. Pare.
- Quando un vulcano in mezzo agli oceani rompe il cazzo anche in garibaldilandia. Ipotetico condono a chi riesce a pronunciare il nome del mostro di lava, tal Eyjafjollajokull, senza mordersi la lingua biforcuta...
- La Tulliani in prima fila. 'Migghia, che figa, deve aver pensato il gentiluomo alla sua sinistra.
Gentiluomo al secolo Gaetano Pecorella. Già, ma senza Fini, nanananana...

Che famo? 'Namo o restamo?

Vieni via o resti?
Domanda trabocchetto, retorica, liturgica (come scrive Freccero su L'Espresso). Ripetuta negli ultimi giorni delle ultime settimane in questo microcosmo che chiamiamo Italia.
Microcosmo come il giardinetto dietro casa e gli insettini piccini picciù di un certo Pikmin: e l'analogia la facciamo continuare con questi scriccioli bioantropomorfi che vagano alla ricerca di sporcizia, spazzatura e ciarpame da riportare sull'astronave in avaria e da custodire gelosamente e strenuamente.
Quindi, aristotelicamente parlando, il sillogismo è presto fatto: l'Italia d'oggigiorno, spazzatura, ladri, insetti e astronavi mezze decrepite, è come Pikmin. E' come quella raccontata da Saviano ieri sera in apertura della terza puntata di Vieni via con me. E, come l'RTS di Shigeru Miyamoto, chiede a gran voce un terzo capitolo. Leggasi una Terza Repubblica. Un qualcosa che superi il berlusconismo, come ama dire il caro Vendola, già nella lite dei poveri con Grillo.
Di già, direbbe il fedele lettore! Pare proprio così, visto che gergo politico e giornalistico si accordano nel dichiarare finita l'era Berlusconi. Ma come al solito a parlare tutti son capaci di parlare, mentre nessuno prova a risolvere l'empasse e preparare un saldo futuro per il paese.
Da un lato Fini si schermisce dal volere subitissimo le elezioni salvo poi controllare un Parlamento frammentato, pronto a ripiegare su sè stesso al solo capriccio di Bocchino e co. E' questa la Destra pretesa europea che dovrebbe risorgere dalle ceneri del partito-azienda, annichilire l'eversiva esperienza del Msi? E' questa la Destra che "vuol dire etica pubblica, cultura dei doveri", come elencato nella seconda puntata di Vieni via con me dal Presidente della Camera? Ordine, senso dello Stato, rispetto delle istituzioni...e poi la mattina dopo cappuccino e brioche sale al Quirinale per parlare di questa crisi che s'ha da fare, di questo governo che presumibilmente cadrà il 14 Dicembre senza dare all'Italia alcuna legge finanziaria per il duemilaeundici, lasciandolo senza guida nelle difficoltà di una crisi economica, aprendo un dibattito sull'eticità in politica che fa tanto Fondazione Farefuturo, ma che non azzecca con la necessaria stabilità della Penisola, che brama di revisioni al welfare e del primo giro di molla al federalismo fiscale.
Nata sotto i migliori auspici, benedetta pure da chi scrive, la manovra di Fini infine si è rivelata banale come tante altre: un semplice arruffa arruffa di palazzo.
L'Italia, quella vera, quella là fuori, si riorganizza e Vieni via con me di Fazio e Saviano è un programma che parla alla pancia della gente, promuove una riflessione vera, una partecipazione attiva dello spettatore e un reale confronto con i protagonisti della politica, dello spettacolo, della cultura, delle arti, della cronaca, della comicità...
11 milioni di spettatori circa a puntata il Grande Fratello se li sogna e questo è il chiaro segnale che il cittadino vuole televisione intelligente, sapiente nelle scelte di scaletta. E' che la ha sempre voluta, ma l'eccitazione per i reality e per lo psicodramma ha annebbiato gli ultimi dieci anni del piccolo schermo. Un 33 % di share per puntata confermano l'intuizione di Fazio che già aveva avuto l'ardore nel Gennaio 2009 di ricordare i 10 anni dalla scomparsa di Fabrizio De Andrè con una sentita programmazione televisiva. E poco importa se Vieni via con me è piuttosto sbilanciato a sinistra con Saviano che sproloquia su eutanasia e Fazio che si lancia in battutine taciute con professionale pudore in quel di Che tempo che fa, ma sia il sottoscritto che il popolo-bue ringrazia.



Elenco delle battute che probabilmente non aiuteranno questo programma

lunedì 22 novembre 2010

Il Re berlusconiano

Esce in questi giorni (17 Novembre per dovizia di particolari) per l'editore Adelphi l'opera Le note azzurre di Carlo Dossi (1849-1910) in versione finalmente completa (milleduecentocinquantaquattro pagine).
Dunque chissene anzitutto direbbe l'amato lettore, certe robette letterarie lasciamole alle mummie dietro le cattadre liceali e invece le Note di Dossi possono interloquire pure col giovane d'oggidì.
Il letterato originario di Zenevredo, Pavia, fu uno degli animatori della scapigliatura milanese, quel protofuturismo armato dal Risorgimento italico e affinato dalla voglia di spaccare il mondo. No, non è vero, ma chi scrive ammette candidamente di non essersi mai accostato seriamente al giro d'artisti postunitari. De Amicis a parte...
Ma aldilà dei rilievi critici e delle comiche vicissitudini letterarie delle Note (per il contenuto licenzioso le precedenti edizioni furono sempre censurate o deturpate), vale la pena leggere alcuni passi della pubblicazione di Adelphi.

539. Si dice che una contessa B di Udine, immiserita per la sua prodigalità, abbia prostituito una sua figlia di 13 anni a quel re viziatore di vergini che ha nome V. Emanuele. Sta di fatto che la contessa oggidì spende e spande - e trae in carrozza la sua infamia pei pubblici passeggi di Udine.

3678. Udii accusare Manzoni di pederastia, quando era giovane e avrebbe avuto per compagno di vizio il bernardino Righetti zio di Cletto Arrighi. Certo è che Manzoni scrisse in gioventù poesie assai licenziose. - Udii anche come Carlo Alberto nel 1849 fosse fuggito da casa Manzoni travestito da carrettiere.

4595. Vittorio Emanuele fu uno dei più illustri chiavatori contemporanei. Il suo budget segnava nella rubrica donne circa un milione e mezzo all'anno mentre nella rubrica cibo non più di 600 lire al mese. A volta di notte, svegliavasi di soprassalto, chiamava l'aiutante di servizio, gridando "una fumma, una fumma!" - e l'aiutante dovea girare i casini della città finchè ne avesse una trovata, fresca abbastanza per essere presentata a S.M.

E con quest'ultima nota ha, ho, detto tutto, passato e presente.

sabato 13 novembre 2010

Vox populi: Django ha qualcosa da dire

Dare voce a chi voce non ha. Non la ha mai avuta o non la ha più.
Così nasce La voce del western italiano, documentario amatoriale preparato da quanti s'occupano dello Spaghetti Western Database. Punto it.
E ho detto tutto: siamo dalle parti di chi si beffa della nota spregiativa cinema di genere al western all'italiana, di quella critica che Leone blablabla (ci mancherebbe...) e poi evita accuratamente quanti hanno seguito, perfezionato, limato, sperimentato con la formula del regista romano. Quello dei nè buoni nè cattivi, solo brutti.
Si parla dei Django e dei Trinità, si parla di Corbucci, di Tessari, di Castellari, si parla dei Nero, degli Eastwood, dei Fonda, dei Van Cleef, dei Gemma. Elenco infinito di film, registi, interpreti della migliore stagione del cinema italiano, o meglio quella pèiù redditizzia a livello mondiale: saranno mancati i riconoscimenti, ma il pubblico aveva imparato ad attendere con maniacale questi film così crudi e crudeli, queste storie di vendetta e di amore, di massacri e d'isolati duelli. Pur con una qualità audio mah, un sonoro beh e un montaggio boh, La voce del western italiano è opera eloquente intrisa di passione e caparbietà, utile se non altro a tracciare un sunto degli oltre 600 film che possono di diritto fregiarsi del titolo di Spaghetti Western. Che è grande film italiano come il filone neorealista e i Fellini e gli Antonioni e i Tornatore: in effetti si sottolinea come il cosidetto cinema impegnato sia stato sempre l'unico cinema spinto all'estero, candidato a Oscar, quando in realtà spesso si tratta di pellicole intense per carità ma guardate con sufficienza e scherno dal pubblico. Le giurie internazionali difatti raramente hanno supportato tali scelte cinematografiche, che specie negli Usa non trovano molto seguito: il cinema è anzitutto industria e deve battere cassa con produzioni che avvincono il pubblico. Da qui semmai gli Oscar alla carriera in extremis ai Fellini, ai Morricone e a quelli che in carriera ne son sempre rimasti asciutti.
Intesi quindi? Il western italiano sarà pure ora ridotto a una macchietta a sporadiche pellicole indipendenti, ma nel passato ha dettato legge e ha avuto un riconoscimento e un rispetto che ogggigiorno si stenta a considerare, quando dovrebbe essere vanto nazionale. Perchè se gente che si è spupazzata Red Dead Redemption oltrestivale e ha pensato anzitutto ai panorami di Leone o di Corbucci anzichè alle colline di John Ford, beh deve pur significare qualcosa...



P.S. a chi di western non ne frega una ceppa, può almeno trovare interessante la sequenza introduttiva del documentario, quella con sottofondo il rap di Nas che da voce al celeberrimo brano Estasi dell'oro.

martedì 9 novembre 2010

Operazione fumo passivo

Dunque a Call of Duty ci giocano calciatori stempiati, tristi presentatori tivvù, antichi rapper, dj radiofonici zoofili. Ci giocano quattro o cinque ore everyday pure disoccupati diciannovenni.
E' il circo videoludico, bellezza!
Call of Duty Black Ops, ultimo episodio della serie sviluppato da Treyarch e ambientato nel cuore della Guerra Fredda, intende fare di questo malsano carrozzone un motivo di vanto. nani, mignotte, giornalisti con ciuffetto, col riporto, col cappello a drinkare e parlare, giocare e squadrare. Ieri sera all'Alcatraz di Milano.
Un fumo che non ti dico invadeva palco e sottopalco: del gioco hai visto poco, giusto la prima missione e nemmanco tutta. Ma ehi, lo acquisterai e te lo giocherai. Garantito!
Piuttosto c'era un giovanissimo che ha sfidato online altri giovanissimi in tutta Europa in eventi similari e quindi li ha stracciati in questa arena simil-artica, bondiana e innevata. Clarence Sedorf da Milanello un'ora più tardi ci ha riprovato ma in italiavisione ha fatto una figura non proprio dignitosa al 100%.


Un Lunedì sera tra i vip di una Milano dabbere, che festeggia pure l'approdo di un orpello per infanti. Tra veline e soldati perunpomeriggio, tra colleghi più o meno coetanei e finocchi delle agenzie di comunicazione del centro-Nord, hai rimediato nell'ordine:
- una stanchezza e un sonno letargico
- un crampo al polpaccio
- un qualche maldipancia imputabile al buffet


Foto scippate a Gamescollection.it. L'Autore ha perso fiducia nella propria digitale!

domenica 31 ottobre 2010

Lucca Lucca sulle note di Losing My Religion

"Scusa, 'on ho 'apito". Pioggia diluviana, strade allagate quando non impantanate, poco più di dodici ore fa, esclusa ora legale. Passeggiando per Viareggio chiedi informazioni a una fiorista su come raggiungere l'agognato punto B. Il tuo accento cozza con la cadenza toscanaccia della tipa, invero arrogante.
Invero poco incline all'integrazione e autentica fans delle "100 città" di cattanea memoria.
Pace e Amen.
Nota a margine comunque sia di una due giorni fuori e dentro le mura di Lucca provincia di Lucca per l'annuale fiera dedicata a fumetto, videogioco e intrattenimento. Se non ci si metteva la pioggia e altre incidenze di natura divina, forse il bilancio sarebbe stato ultrapositivo. E in ogni caso un giretto di tutti gli stand lo si è fatto, qualche bel momento di sana compagnia pure, una "delicous" pizza, qualche bell'incontro idem (incluso quel bel ragazzo, occhiali e sciarpina, che si presenta come "il tuo peggior incubo"). La pioggia ha dato una sferzata alle corde della cordata di Animeye che si è vista costretta (??) ad annullare gli appuntamenti per la giornata di Domenica.
Pace e Amen. Ci si consola con un paio di uscite fumettistiche raccattate qua e là, ma anche sopratutto con le melodie di Losing my religion, che qualcuno poco prima dell'alba, esclusa ora legale, ha proprio dichiarato di non apprezzare!


martedì 26 ottobre 2010

C'è chi cade dalle nubi...

Con il piglio generale dei classici della Commedia all'italiana, dei Matrimoni all'Italiana e di convesso dei Divorzi all'Italiana, degli Onorevoli e dei Mostri, della Grande Guerra e degli Amici Miei.
Nomi sciorinati oggidì da cinefili della prima ora che all'epoca certo li avevano snobbati e che ora provano a redimersi celebrando la commedia di costume dei Totò, dei Sordi e dei Tognazzi (meglio arrestare qui il lunghissimo elenco per non scontentare nessuno...), proprio come fanno con gli Spaghetti Western. E sono pure gli stessi che dopo le stagioni di Troisi e Benigni, e nonostante i colpi messi a segno ininterrottamente da quasi trent'anni a questa parte da Verdone, sono pronti a scommettere che il cinema italiano made in Cinecittà in Roma non faccia più ridere.
Gli si vorrebbe dar ragione data la sequela di cinepanettoni a Natale, cinecocomeri in piena Estate e qua e là qualche filmetto da straccioni (Sharm El Sheik con Panariello) e le prove d'attrice della Simona Ventura, che recita con un palo di frassino infilato su per il culo. Ma in realtà c'è dell'altro: registi come Brizzi e Veronesi pensano in grande, dibattono sui grandi temi del tessuto sociale dello Stivale, sviluppano idee interessanti e le affidano a cast corali di attori capaci, non a veline e tronisti da spot Tim come si sono sviliti a fare i Vanzina.
Sono film come Ex, Italians, Genitori e Figli, Questa notte è ancora nostra, Oggi Sposi a ridare lustro alla nostra commedia, a fare del sano sarcasmo, del garbato intrattenimento. Problemi quotidiani, perlopiù attinenti alla sfera sentimentale, qui trattati nella leggerezza tipica del cinema popolare, che non rifiutano le macchiette, ma dicono un secco no a quella pornografia e volgarità che il media tivù ambisce a proporre come cappa culturale.
Nella settimana esce Maschi contro Femmine di Fausto Brizzi, corpo scontro, muro contro muro (come l'omonima storia a fumetti su Topolino sceneggiata dallo stesso Brizzi e disegnata da Mastantuono) tra i due generi, acerrimi rivali ma che poi tanto teneramente si cercano dall'alba dei tempi. Le prime recensioni sono ottime e nulla vieta che gli spettatori si riconoscano pienamente nelle disavventure di omini e donne. La verità è che questo popolo mica è cambiato molto dai vigliacchi tempi della Grande Guerra di Sordi e Gassman, si professa fervente cattolico ma poi sfrutta la comoda opportunità del divorzio, acciuccia e si spartisce in politica come negli affari, educa al rispetto di regole ma poi sviscera leggine e cavilli per avere rivalsa. Non che siano elementi propri solo dei virgulti italici e che altrove siano scomparsi, ma guarda a caso pur cambiando i tempi storici e le chiavi di dibattito si ritorna sempre punto eaccapo a parlano di questi italiani bravagente, ma che appena ti giri ti rubano il portafoglio o, fuor di metafora, ti ridono dietro (presente!), ti fanno ingiurie (assente!) o ti giudicano il perfettino di turno (presente!).


Così si arriva anche a parlare di quanto questi occhi di cane hanno visto ieri pomeriggio, ovverosia Cado dalle nubi di Gennaro Nunziante che segna il debutto sullo schermo cinematografò del comico meridionale Checco Zalone. Non che se ne chiedesse a gran voce il debutto, ma tant'è eccoci...
Dunque un ragazzotto del Sud strimpella la chitarra e così facendo vola al Nord, a Milano, patria dei reality show o pretesi talent show, ospite del cugino "omosassuale" e corteggiatore di una bella laureanda in Psicologia ma lei ama un altro (il suo prof dai capelli argentei), il cui padre è questo segretario del Partito del Nord, che racchiude nelle ampolle l'acque del Po e ce la ha su con i bingobongo. Cioè la Lega Nord.
La matrice è autobiografica, il sogno del cantante, l'amore nella grande città, si intrecciano con la tematica politica secessionista/razzista più omofobia e outing, due belle problematiche scottanti della realtà odierna trasposte al cinema con frasi sgrammaticate, canzoni-parodia e battutine che fanno ridere poco poco. Carino. Voto: 6.
Il Checco attore è impacciato, stralunato, certo non conosce i tempi del cinema e nemmeno quelli della commedia. Siamo sicuri ci lavorerà su e se ne uscirà con gioia per il secondo suo film da protagonista già calendarizzato per fine anno e con il titolo "Ma che bella giornata".
Più generale di così...


giovedì 21 ottobre 2010

La nostra nona caccia al dragone

La sceneggiatura di Yuji Horii parla di perdita dell'amato/a, di smarrimento degli ideali, di autentica morte e persino dell'affezione che gli esseri umani hanno per le divinità ultraterrene.
Tutte queste tematiche all'interno di un colorato gioco di ruolo che tra barlumi "cartoon" e simpatici motivi di Koichi Sugiyama. In realtà non parliamo del più infimo videogame che l'industria nipponica abbia sfornato, ma del million seller Dragon Quest IX uscito quaggù lo scorso Luglio su Nintendo DS.
Per quanto la struttura della serie sia grosso modo la medesima da vent'anni a questa parte, essa riesce di volta in volta a reinventarsi ad appagare il giocatore, alzare sempre di poco l'asticella della sfida. Chiede impegno e dedizione Dragon Quest IX, ma in cambio è pronto ad omaggiare con una storia ben scritta, ponderata, che non attiene esclusivamente alla salvazione del mondo dalla distruzione meditata da una potente organizzazione (i riferimenti sono casuali, certo che sì), ma ironia della sorte parla delle nostre paure, della nostra fragilità, della nostra incapacità di agire e reagire. In quel mondo fatto di statuine del presepe c'è come uno specchio dell'ansia e del perenne agnosticismo umano.
Di convesso altre serie nipponiche come Tales of e Final Fantasy (per citare le più note) stentano a proporre contenuti nuovi, limitandosi ad imbastire storie di amicizia e coraggio aldilà dei limiti umani che tanto trovano conforto nell'estetica anime e nel prototipo adolescenziale nipponico, e quindi nelle classifiche di vendita, ma sotto sotto si portano a casa sempre critiche a go go, specie dagli appassionati occidentali che succubi delle proposte dell'industria nipponica non lo sono più da almeno un lustro.
Con ciò si vuole spezzare una lancia e di più consigliare tale videogame alla stragrande maggioranza dell'utenza DS: gli appassionati lo troveranno ben più fresco e meno conservatore di molti consimili (basti pensare all'ingessato battle system dei Tales of), i giocatori occasionali troveranno in Dragon Quest IX le caratteristiche salienti della scuola ruolistica nipponica, solo in parte trapiantate nei tanto osannati Pokèmon.


martedì 12 ottobre 2010

Perchè l'Autore è uno str***o

L'utente di Blogger Nicolò Pellegatta ti ha invitato a fornire un contributo al blog: De Re Ludica.
Questo più o meno quanto comparso pochi secondi fa al nuovo sfavillante indirizzo gmail.
Nicolò Pellegatta (io) ha invitato Nicolò Pellegatta (ancora me medesimo) a scrivere su queste pagine, cosa che quest'ultimo sta facendo prooopriiio ooooraaaa.
Quindi dal punto di vista formale ci sarebbe un secondo autore chiamato a buttar giù pensierini e oscenezze a questo giro.
Presentazioni fatte (fiuuu) scrivi queste parole ad una buona settimana dal post più recente, quello sul sogno terribile, nato dalla sbornia post-esame in una mattina di dichiarato cazzeggio. Ergo sveglia ore 10:00. Queste parole sono ispirate dall'episodio 12 di Gaming Effect, il cui reiterato download ha portato a scaricare infine un file audio della metà di quello totale. Mistero. Appunto per i prossimi giorni. (cercare di) scaricare l'mp3 completo.
Parlano sostanzialmente del mercato dei videogiochi in questo paese qua, di come il rapporto di AESVI (sigla di cui ovviamente non ricordi l'acronimo) paragoni l'Italia alla Polonia in termini di venduto, fasce d'età, console per famiglia, ecc... Sticazzi. Resta il vanto che più della metà delle copie ciulate ai Gamestop appartiene allo zoccolo duro e non alle familiucole con Wii Fit e un Wiimote infilato su per...il tubo.
A fianco di Windows Media Player c'è aperto il convertitore video che pian pianino rende il film di John Ford Il Massacro di Fort Apache con indovinate un pò John Wayne digeribile da codificatori audio/video degni degli hi-fi che hai sparsi per la casa. S'attende la visione con la tipica eccitazione da ebete che colora il volto del sottoscritto all'approcciarsi a un film western.
A fianco della scheda di Blogger ci sta un video da Youtube dal titolo scritto in caratteri nipponici: aperto chissà come e chissà seguendo quale percorso lo spot di Yakuza 3 in cui il bel Toshihiro Nagoshi lancia un sasso in riva al mare. Vaaaaa Beeene.
Hai appena terminato una sessione ad Halo 3 ODST, in cui nell'ordine respinto un attacco Covenant all'interno di un parco pubblico di New Mombasa, poi nonostante ti sentivi come l'onnipotente avendo una mitragliatrice per le mani ti han fatto ripiegare e fronteggiare un attacco da due lati in evidente penuria di munizioni, poi hai attivato un ascensore, poi degli insetti tipo le merdine di Halo 1 ti hanno attaccato, poi ancora Covenant, poi un'astronave a salvarti, poi la deflagrazione dell'edificio. Sticazzi. Buio. E' notte e stai attraversando sempre la stessa strada per andare a recuperare un fucile di precisione. Non va: questa non è narrazione interattiva Bungie. Maggiori dettagli da ritrovarsi nelle insensate lodi sperticate alla sceneggiatura del titolo Bungie da parte di recensori di mezzo mondo.
E ancora prima ascoltavi a Ballarò Nicola"perchè è una stronza"Porro, vicedirettore o roba del genere de Il Giornale: tipo quello che si è inventato di "rompere i coglioni alla Marcegaglia per i prossimi venti giorni". Non è politica è informazione, vomita addosso ai comunisti di Rai 3.

Ora te ne vai a nanna, pacifico come non mai. Hai descritto un Martedì sera tipo, hai detto di stare bene, di continuare a cazzeggiare come al solito, di portare avanti le solite passioni, di rifuggere cose più importanti. Ma tutto ritorna sereno quando in sottofondo parte la musica sotto il duello finale di C'era una volta il West. Il duello più migliore della storia del Far West.
Dicasi primi piani estremi, uno zoom dal particolare al generale capace di polverizzare qualsiasi altro zoom precedente e successivo, pure quel 3x di cui si vanta la tua macchina fotografica, e poi quel "suona qualcosa a tuo fratello" che quasi quasi diventa l'immediato stato su Feisbuc. Naaaa. Bang!

mercoledì 6 ottobre 2010

Freud e il parco acquatico Garibaldi

Dunque prendetelo come fumoso, anzi molto fumoso. Perchè se già un sogno d'antologia remmiana è roba da allucinanti incastri pseudologici, cioè psicologici, a dodici ore o forse più alla conturbanza mentale s'arreca pure il ricordo.
Dunque il cielo era terso, questo è certo, come d'altronde lo era ieri su gran parte della Padania; però però non pioveva, cioè forse sì, cioè forse no. Il luogo certo che lo ricordi: Milano, Porta Garibaldi. Che in realtà non aveva nessun carattere reale di quella zona ora sventrata dai lavori per il megaparcheggio sottorraneo (leggasi nell'interpretazione freudiana: sottomarino. Prosegua amato lettore), se non fosse per le insegne della metropolitana M2. Cioè c'erano delle M questo sì, ma qualcuno ti ha instillato nella mente che quella era la stazione Garibaldi. Pace...
Come ore dovevano essere le 18, perchè c'era un pò di buio, un pò di freddo e un pò di fretta per non perdere il 6.45.
Tuttavia c'è un immenso particolare: l'intera area era sommersa. A rigor di logica non si capisce nè come nè perchè. Fatto sta che - why - emergevano dall'immensa e cupa distesa liquida le insegne della metropolitana ebbasta.
A ricreare un pò di vita ci pensano dei moli di legno che fanno tanto porto di Springfield, nella versione sovente saggiata dai Simpsons. Poi dovrebbe far capolino un vecchio amico, credi di aver scambiato due chiacchere con lui ma poi vi siete congedati. Credi.
Più nitida è l'incomprensibile corsa successiva: qui sì che ha iniziato a piovere, FORTE, e tu hai percorso il chilometro, chilometro e mezzo (giusto per dare un'idea) di costruzione erta sopra un mare in agitazione.
Ti prende un colpo quando un rugoso capodoglio ti salta in parallelo al tuo tapirulan (e dire che l'orca di Sonic Adventure ti esaltava e ti esalta a tutt'ora), affretti il passo finchè arrivi al termine del molo. Nemmeno il tempo di prendere fiato che dall'acqua sbuca un immenso polipo gigante, tipo quelli fotografati negli abissi dagli esploratori dell'800, sì insomma quelli con le ventose grandi quanto una Smart. Da qui la classica del cinema: il polipo atterra stecchito e per un pelo non ti piglia sotto. Riscappi a perdifiato e riattraverso il chilometraggio di tronchi d'albero.
Puf!
Qui termina il nastro, cioè la memoria del sottoscritto.
Lungi dal dire che di sogni ne fai tanti, ma che pochi restano impressi così nitidamente e sopratutto a queste ore di distanza, ora il problema è l'interpretazione.
Che cazzo frulla il mio cervello? Da quali ossessioni scaturisce labbalena e il metrò allagato?

A pensarci bene la descrizione vanta sporadiche analogie con la Rapture di Bioshock. Peccato che il 2 non lo hai giocato e che il primo te lo eri giocato all'uscito, tipo due anni e più fa.

martedì 28 settembre 2010

Le Sakineh occidentali

Visto che ti hanno assegnato la qualifica dello stronzo, di quello che non ha sentimenti, di quello per giunta maschilista, povero scemo in un mondo di froci, è giunto il momento di dare credito a questa opinione diffusa.
Cioè che tutta questa mobilitazione attorno all'iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani prossima alla condanna a morte per lapidazione o per impiccagione rea di essersi macchiata di due reati particolarmente gravi per la scala giuridica islamica, la sharia. Che non è di per sè la negazione di qualsivoglia diritto e non afferma nemmeno valori opposti alle Costituzioni occidentali, semplicemente introduce un parametro religioso particolarmente severo che dopotutto è la lettera di quanto stabilito dal Corano.
Mobilitarsi a più livelli per chiedere che la donna venga salvata dalla condanna a morte è intellettualmente etico, ma non tiene conto di due questioni fondamentali.
Primo: francesine e italianette (Carfagna in primis) continuano a proclamare l'innocenza di Sakineh, chiedendone con troppa insistenza la liberazione. Se da un lato nel lassismo d'oggigiorno un adulterio, un tradimento, un voltafaccia, un caffè col migliore amico possono essere considerati atti privi di scandalo, facilmente riassorbibili da una società che fa e disfa unioni/matrimoni con la stessa velocità di un pieno in Formula 1, dall'altro mi chiedo se l'omicidio del proprio coniuge in compagnia dell'amante di turno possa essere considerata innocenza? Siamo arrivati a questo punto di miopia?
Un conto è sottolineare l'assenza di parità uomo-donna, con la pena capitale per adulterio più applicata per il sesso femminile che quello maschile, un conto è passare sopra in nome di ideologie femministe sopra il cadavere di un uomo ammazzato a sangue freddo e con premeditazione.
E secondo: francamente, dove è in tutto questo il rispetto per l'altrui cultura? Una cultura passa anche dal modo con cui si tutelano i diritti dei cittadini e se una cosa può essere ritenuta aberrante in Europa (come giustamente lo è), altrove può non essere tale, ed è ingiusto applicare un medesimo metro di giudizio a realtà dove buona parte delle nostre convinzioni vengono a cadere. Si fa altrimenti il gioco della globalizzazione, si appiattisce la sfera terrestre, si giudica guardandosi bene dall'essere giudicato. D'altronde i media di Teheran senza troppa fatica hanno rigirato la domanda e si son chiesti cosa ha portato Teresa Lewis a trovare la morte sulla sedia elettrica, pur avendo disturbi psichici, pur avendo visto un silenzio almeno almeno imbarazzante senza che nessuno provasse a chidersi il perchè di tanta sbrigatività.
Perchè dietro a una condanna di una intromissione della fede religiosa nella certezza giuridica, si nasconde il perbenismo del femminismo mitteleuropeo, che pretende e gode i frutti di decennali proteste senza immaginare per nulla quali gigantesche contraddizioni produce tale sistema.
E questo è più o meno tutto quello che ti sentivi di dire. Tanto ora non hai più nulla da perdere...


giovedì 23 settembre 2010

Dossieraggio senza fini

Un sei mesucci fa si pubblicava la prima pagina del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, Libero, di data 26 Gennaio. Cioè il giorno dopo che Vendola vinse le primarie per candidato Presidente della Regione Puglia.
Dodici mesucci fa lodavi la testata milanese per il coraggio scanzonato di aprire ogni numero con una sola vignetta a colori in prima pagina. Ossia l'eredità della gestione Feltri.
Dodici mesi poi e sei mesi poi, fate un pò voi i conti, ci ritroviamo questa prima pagina di qui sopra.
Ridicola viene da pensare. Allinearsi a un giornalaccio come Il Giornale, che fa del terrorismo a mezzo stampa la propria sola ragione d'introiti e la necessaria sopravvivenza tra i fiduciari di Silvio Berlusconi.
Colpisce Fini con mezzi a dir poco innovativi: si critica la politica del Presidente della Camera mostrandone una foto di lui nudo. Io il nesso tra le due cose perdonatemi ma non lo colgo mica...

P.S. Post sconnessi, brevi e a lunga distanza. Di giorni impestati e incasinati, di cose che riiniziano e di cose che - si spera - continuino.
Chiedo venia anche che si parla con troppa frequenza di politica.
Se trovo il tempo ho un paio di episi di vita vissuta da fissare su queste pagine.

domenica 19 settembre 2010

It's always sunny in Adro

"Questo non è il simbolo di un partito, ma di un popolo". L'anziano sorride pensando di aver detto la frase migliore della sua vita. Poi mostra il famoso Sole delle Alpi appiccicato sulla cover del cellulare. Una variante nordista del Mussolini sul cel di Lele Mora in Videocracy.
Siamo ad Adro, Franciacorta, Brescia. Chi ha parlato è parte di quel 90 % che alle ultime comunali ha barrato il simbolino della Lega Nord promuovendo a sindaco Danilo Lancini, che ora guida una giunta monocolore leghista.
E se non bastasse la bagarre di questa primavera che ha fatto discutere l'Italia intera ("chi non paga non mangia" aveva detto), risolta grazie al gesto di un benefattore locale, l'inaugurazione Sabato scorso del nuovo polo scolastico dedicato a Gianfranco Miglio ha destato un mucchio di problemi. Non certo perchè la scuola del paese porta il nome del politologo milanese e ideologo della Lega, ma perchè dappertutto è impresso il simbolo del partito di Bossi, questo Sole delle Alpi, già graffito sulle montagne alpine, e ora marchio di una fantacultura che in provincia di Brescia è totalizzante, o quasi...
Esso furoreggia un pò dovunque: sulla moquette all'ingresso, sul sostegno dei bagni, attorno ai cestini dell'immondizia. E il crocifisso? Presente in ogni aula e per evitare le rimostranze che si ripetono a cadenza regolare, imbullonato alle pareti. "Una doppia crocifissione" dirà qualcuno che certo non si riconosce in quel simbolo di umiltà.


Questo accadeva facciamo sette giorni fa. Poi le proteste, le parole grosse di Borghezio da Lerner, la scoperta del figlio di Lancini che va alle private. E ieri il Ministero dell'Istruzione a consigliare ufficialmente la rimozione dei simboli POLITICI dal polo scolastico.
La forte presa di posizione è indotta, molto probabilmente, da un sit in di cittadini avvenuto ieri nel comune della Franciacorta: una sfilata di tricolori, di vessilli partigiani, una presa di posizione democratica per dire che non ci stiamo a ridurre l'identità territoriale a una regressione politica. Non è giusto, dirà un manifestante, che quel 10 % contrario all'attuale composizione del consiglio comunale venga penalizzato e vessato da demogico folklorismo. Eccolo il sale della democrazia: tutelare e lasciar libero sfogo al dissenso.


E ora che si fa? Lo stupore di Lancini per la lettera firmata Ministero della Pubblica Istruzione di ieri, ha lasciato spazio questa mattina ad altre provocazioni: "Se me lo dice Bossi, rimuovo i simboli non domani, ma ieri". Però, ehi, un momento, "se lo tolgo dalla scuola, allora faccio lo stesso con gli edifici pubblici su cui è presente da secoli. Altrimenti niente". E via di scalpello a raschiar via le millenarie rocce alpine.
E il senatur che dice, che fa? "Il sindaco forse ne ha messi troppi. Avrebbe potuto farne uno bello, che bastava". Bene, può andare. Ancora meglio: "intitolare la scuola a Miglio è stata una grande idea ma io mi sarei fermato lì" dichiara il 'moderato' Maroni. Bene bene.
Facciamo che le fregnacce le finiamo qui e ci gloriamo della patria italica?
Usare la scuola per indottrinare? Da destra e da sinistra? No. Grazie.

lunedì 13 settembre 2010

I miei prossimi cinquanta cafè amari

Non si può dire che non te la sei andata cercando, come direbbe il senatore salvo poi nascondersi dietro uno scudo di bucatini all'amatriciana.
Perchè a secco da troppi mesi di un'abbonamento editoriale (Game Pro te lo hanno chiuso quasi dodici mesi fa dall'oggi al domani) tu evidentemente non puoi stare. E se della stampa specializzata negli argomenti a te congeniali credi di poterne fare tranquillamente a meno, forse è ora di fare il grandicello e pavoneggiarsi con i giornali d'adulti.
Che ahimè non si concretizza con un dodici mesi in compagnia di Playboy, GQ, Max e quanti altri fanno svolazzare la testa ai lettori con mooolto testosterone (probabilmente parenti e conoscenti guarderebbero il ventenne con occhio critico, clinico e sospetto), ma in cinquanta e poco più copie de L'Espresso.
Già, quel giornale fondato da Scalfari negli anni cinquanta, con belle fotografie, stampato su bella carta. Che è quel periodico di informazione da cui si è staccato il costolone di Repubblica: ergo forse poco incline ai tuoi apprezzamenti politici.
Ciononostante la lettura degli ultimi due numeri propongono un giornalismo pacato, d'inchiesta, attento ai dati e non ai favoleggiamenti di Ezio Mauro e soci. Disposto a provocare quanto basta, disposto a passare sotto la lente d'ingrandimento i personaggi della politica, dell'economia (sembra che in queste settimane ce l'abbiano su con Marchionne), dello spettacolo, dell'arte.
Quindi è vero che si possa fare giornalismo competente senza per forza di cose barricarsi dietro a fascismi e comunismi, ghettismi, tecnicismi, e tutte quelle parolacce che finiscono con ismi.
Il che, di questi tempo da guerriglia giornaliera, è cosa positiva...

lunedì 6 settembre 2010

Amore senza Fini: il fotoromanzo ufficiale

"Sono bastati dei fischi a Schifanibastalaparola e a FassinoinSerafini per scatenare un'isteria di massa. Il Sistema è ormai uno scolapasta, i liquami escono da mille buchi, impossibile tapparli tutti." Certa gente si meriterebbe altri centocinquant'anni di berlusconismo. Una protesta (più o meno sensata) che impedisce alla gente di parlare non mi pare entri di diritto nel vocabolario della democrazia.

Nella Terra di Mordor ventiquattr'ore più tardi, i soldati di Gondor si preparano all'assalto delle terre di Berlusconia.

"Questi parlamentari non sono come i clienti della Standa che se non cambiano il supermercato ottengono il premio fedeltà. I parlamentari [di Futuro e Libertà] che sono qui hanno voglia di fare politica e di parlare alla gente".

"Il Popolo della libertà non c'è più. Non potrà accadere che Futuro e libertà possa rientrare in ciò che non c'e più. Ora si va avanti. [...] Il Pdl come lo avevamo immaginato e conosciuto non esiste più, è finito il 29 luglio", o il 25, fate vobis.


"Sono i deboli che hanno bisogno di garanzie e non i più forti. Questo per me è il centrodestra e della politica con la p maiuscola"

...il leone di Narnia e la vuvuzeta...

La Tulliani in prima fila.
'Migghia, che figa, deve aver pensato il gentiluomo alla sua sinistra.


La diretta su Corriere.it all'interno di un microschermo. Non è andata meglio a Skytg24, la cui calata sul palco dell'ex leader di AN è stata a lungo schermata dal cartello bianco di un militante.
Tsk, dilettanti.

sabato 4 settembre 2010

Un altro gioco di M

24 ore dopo l'uscita europea di Metroid Other M per Nintendo Wii. Eviti ancora di scandagliare la stampa italiana che già ha voluto dire la sua. Spaziogay, Gaycollection, Eurogay, Gayvillage, SuperEva. Ehr...
Al netto fanno per ora una media di 8.5 per ItaliaTopGay, l'aggregatore di voti che preferisce la pastasciutta.
Più dettagliatamente, più sbrigativamente, non leggi l'altripensiero, perchè questo gioco già lo hai capito.
Brivido all'annuncio (l'E3 prima dell'ultimo E3), perchè sviluppato da Team Ninja già senza il bel tenebroso Itagaki; ma poi tutto è filato liscio e la visione grafica ti aveva pure convinto sull'ennesimo compremesso tentato tra dueddì e treddì. Che poi è il massimo achievement di Other M, pinzare con lo spiedino tanto l'attitudine yankee dei tre Prime con l'accento claustrofobico dei capostipiti di Intelligent System, e per dare nuova linfa vitale alla serie anche i valori produttivi del Team Ninja: tette, sangue e botolino. Solo che di sangue se ne fa a meno, di botolino pure (Samus ci tiene ad apparire come una bellezza acqua e sapone), e quindi restano solo le tette plastificate all'interno di una tutina aderente. Ecco Zero Suit Samus...
In realtà ti piaceva pure che la serie tornasse tra le mani(che) dei developer nipponici, che quasi quasi potevano pure tentare di essere tornati più migliori degli ammerigghani.



Lo spot usa Live Action. Concerto per pianoforte. Digire maestro bimbominchia. Che poi la biondina adottata è pure sexy. Almeno almeno quanto quella di Echoes.

Poi ti hanno messo in mano quell'oggetto oblungo che hanno l'ardore di chiamare controller e ti sei spuppato la demo dell'E3 scorso.
Ti aspettavi molto, plurime emozioni, ma ridere sonoramente non era tra queste. Una demo che dura 40 minuti contro i cinque in media di un test a Los Angeles trasmette buon umore: che poi a fare i conti sono proprio cinque minuti di gioco effettivo, pad alla mano girato e rigirato in verticale/orizzontale, e i restanti di filmati in CG.
Kojimiano. Del tipo Samus che si ricorda dell'apprendistato all'Accademia Militare, di quando aveva tipo quattordicianni e anzichè iniziare a battere come le proprie coetanee si infilava dentro tute che contraddicevano tutte le norme antifetore e protraspirazione di mamma Geox.
Poi l'arrivo sul nuovo pianeta dimmerda. Perchè? Beh per dare un senso al periodo sabbatico tra Super Metroid e Metroid Fusion. Giusto per sapere: chi ha chiesto un legame tra i due capitoli? Un legame narrativo così spaccamaroni, intendo?


Poi hai giocato e ti sei trovato di fronte un gioco che tra action e TPS diverte pure, nononostante le telecamere fisse, nonostante un certo retrograde sparo automatico, nonostante il classico cervellotico level design della serie (che a tuo avviso a volte è strutturato alla cazzo di cane. Altro che mappe e architettura sopraffina. Ma già, tu non sei un fanboy di Metroid, compatiscititi...). Ma poi a volte devi girare il pad, tenerlo in verticale e sparare in prima persona come nei Metroid Prime: solo che se allora di nemici mica ce ne erano tanti, qui sei sommerso, hai tra le mani il sistema di puntamento più ridicolo dell'emisfero e inoltre manco ti puoi muovere. Per farlo devi regredire alla visuale dietro le spalle, fare due passi e ritrovare il tuo istinto callofdutyano.
Pressochè inesistente, peraltro...

Splendore giappico a più livelli. C(l)iccare per credere.

Critiche già rivolte al gioco in occasione di un precedente hands on, solo riscritte con pessimi vocabili e maldicenti costruzioni sintattiche. Al che lo fai diventare un monito questo post, del tuo Other M-pensiero, della solita incapacità di certa critica specializzata di separare professionalità da fanboysmo nintendaro...
E questo vale pure per il sapido giudizio dei recensori d'oltreoceano...

martedì 31 agosto 2010

Vi consolate con l'insalata

Dunque, guardami attentamente negli occhi. Le dedichiamo una poesia, che dici?
Dico, dico. Noi chi?
Beh, fino a prova contraria siamo in due.
Ma sì, ma sì. Sicuro sicuro?
Beh, dai, apprezzerebbe di certo. Come rifiutare i versi, le rime, le assonanze?
Ma a chi la dedichiamo? Laura, Beatrice, Irma, Enrichetta?...tutte morte.
Si si. Bang.
Già, caput.
Lei è ancora viva, dico bene? Capirà di certo il rantolo d'amore concesso alla poesiola.
Ma figurati. Provincialotta e borghesuccia qual'è. Devi parlarle in modo brutale, da burino, volgare, altro che soavismi e lirismi.
Lascio perdere? Convinto tu...
Convintissimo. Butta giù piuttosto una lettera. Due righe, gli dici questo, questo e quello.
...al bando la sensibilità.
E certo. Che c'azzecca di questi tempi. Meglio essere diretti. Scrivi le tue intenzioni e facciamola finita.
Facciamola?
Facciamola!
Ma una lettera non è demodè? Di questi tempi, mi dici tu. Non si usano altri sistemi.
Beh, non eri tu che volevi un pizzico di romanticheria?
Pur nel solco della virilità, beninteso...
...che non siamo mollaccioni.
Presto detto. Dai scrivi scrivi.
Calamaio e penna. Subito...
Eccolo. Due punti.
"Signorina, veniamo noi con questa mia a dirvi..."
Addirvi. Una parola. Addirvi.
"...addirvi una parola.."
Che. Che. Scusate se sono poche. Ma settecentomila lire; noi ci fanno. Specie che quest'anno. Una parola. Questanno. C'è stato una grande moria delle vacche. Come voi ben sapete.
Punto.
Due punti!! Ma sì, fai vedere che abbondiamo.

Capite che il tono mica è tanto serioso. Capite d'altronde che la parte finale più che un surrealismo di questa mente qua, è la trascrizione di parte della famigerata lettera che Totò detta a Peppino nel classico della commedia italiana, Totò e la Malafemmena. Che poi faceva osservare Maurizio Porro sul Corriere qualche settimana fa è stata ripresa molte volte dal cinema italiano: vedi il mitico Non ci resta che piangere.
Capite inoltre che l'ispirazione non la capirete mai...

Uomini e no(i)

E' forse nel cane la natura dell'uomo? Di quel cane che guaisce, che si rintana sotto il letto, di quel cane che fugge allo sguardo del padrone. "Blut, il cane, sa che non può più seguire Figlio-di-Dio dopo quello che ha fatto. [...] Io vorrei vedere gli altri: lo stesso Hitler, nelle circostanze stesse, con un Figlio-di-Dio per lui, e lui che si rendesse conto di quello che fa, e guaisse, corresse sotto un letto a gemere".
Non già nell'uomo è la natura dell'uomo. Il paradosso che Vittorini coglie al meglio nel suo romanzo di militanza. Comunista nella copertina (l'autore militerà nel PCI e dirigerà per diversi anni L'Unità. La morte lo coglierà nel 1966), umano, umanissimo, nella documentazione cronachistica di una minuziosa Milano post-25 Luglio 1943. Mussolini già lontano, forse a Salò, i tedeschi insediati in Via Santa Margherita a caccia dei Gruppi d'Azione Patriottica.
L'atmosfera è tesa, troppo surreale, vorrebbe sprizzare di quotidianità cullata da un inverno mite, il "più mite che abbiamo avuto da un quarto di secolo", ma non ci riesce. Proprio non ce la fa: "il coprifuoco era sulla città - scrive Vittorini - un immenso ragno, con zampe sottili dentro al chiarore della Luna".
E più avanti la cupa esistenza cittadina si trasforma in una insistita intervista con sè stesso, domande domande e domande. Senza risposte: "conosco il deserto in cui egli è ora, non l'amore, ma la sua sabbia nera".
No, non può essere nell'uomo la natura dell'uomo. La Resistenza con la R maiuscola diventa così resistenza con la r minuscola. Se Uomini e no è il romanzo della Resistenza per antonomasia (difficile trovare qualsiasi scritto su quegli anni così coinvolto nei fatti e così meditabondo sulla vicenda assaporata), lo è perchè fa dell'eccezionalità storica una condizione metafisica del genere umano. Non una isolata lotta al nazifascismo, ma l'infinita liberazione dell'uomo dal morbo di sè stesso.
Uno scontro che porta all'(auto)annullamento, all'annichilimento dell'estro metafisico. Combattere vuol dire perdersi. Perdersi la vita, le belle donne, le piacevoli letture, il lavoro, perdersi il Naviglio Grande al tramonto, perdersi il tramvai che va a Piazza Fontana e torna indietro, perdersi un bicchiere di vino, perdersi in un goccio d'acqua. Non già sopravvivere: già, sopravvivere a cosa? A sè stessi? Agli altri? Alla propria ombra?
No, è "molto semplice", se combatti vuol dire che vuoi perdere. Allora, "perchè lottare? Per resistere. Come se mai la perdizione ch'era sugli uomini potesse finire, e mai potesse venire una liberazione".
No, no e ancora no. Impossibile liberarsi dall'uomo. Dall'uomo che mai capisce, mai si applica, mai prende seriamente d'impegno di liberarsi da/di sè stesso. L'uomo dovrebbe abbandonare la natura dell'uomo.
Vittorini scrive in una nota finale che "la mia appartenenza al Partito Comunista [consideriamolo pure come quel partito d'ala massimalista d'ispirazione sovietico-gramsciana. Non già quello di stampo togliattiano] indica dunque quello che io voglio essere, mentre il mio libro può indicare soltanto quello che in effetti io sono".
E questa volontà prescrittiva, questo ridursi a voler essere "solo" un buon militante, può aiutare il lettore e i suoi arrovellamenti sulle righe finali del libro.
Anche se invero è tutto inutile. L'uomo non potrà mai ambire alla natura dell'uomo.
"Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un'altra donna: questo era il modo migliore di colpire l'uomo. Colpirlo dove era più debole, dove aveva l'infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dov'era più uomo".