giovedì 1 luglio 2010

Fuorilegge fino a (un pò prima della) fine

"Cosa è meglio? Dare una pacca sulla spalla a un tizio che muore di fame o picchiarlo finchè non impara a coltivare?"

Prima, durante (scorrete la rotellina in giù) e ora dopo.
Il videogame quaggiù più atteso di questa prima parte dell'anno ha goduto di un'attenzione particolare su queste e su altre pagine. Ma che dire di Red Dead Redemption ora che l'avventura è giunta al termine?
L'idea principale è che il titolo valga anzitutto come esperienza western, perchè capace di condensare in maniera egregia (e finora mai sperimentata in un videogioco) l'atmosfera dei film western, con i suoi epici dialoghi, i visi rosolati sotto il Sole, le corse a cavallo al tramonto, le sparatorie più intense.
I personaggi secondari rappresentano le più svariate facce del West, ormai al tracollo (l'anno è il 1911, un pò lontano sia dallo spirito dei pionieri sia dall'affollamento della Guerra Civile): personaggi che gli Houser dipingono con il solito cinismo, a metà strada tra la convinzione seriosa e la satira sociale. West Dickens, il generale Allende, l'insigne scienziato filo darwiniano. Dal Messico alle grandi pianure, passando per il polveroso Texas, l'intero fascino della frontiera è sublimato da un susseguirsi di incontri e scontri con questi dannati eroi, pezzenti per qualcuno: il mondo è immenso, pure troppo, ma sempre meglio godersi il suono della decadenza a lungo anzichè conoscere millimetro per millimetro di quello "scatolone di sabbia" che era l'universo del Gun di Neversoft.
A personaggi così ben pensati, inspiegabilmente i villain appaiono tutto sommato monocorde, rivelandosi solo in parte appena prima della loro dipartita, sempre dettata da ambigue leggi di gameplay. Di fatto la giocabilità di Red Dead Redemption si fa grande quando si tratta di esplorare l'ambientazione, mentre tra mira automatica e schizzofrenico level design non sembra ricordare l'emozione da autentico sparatutto arcade di Red Dead Revolver.
Questo, però, non vuole annullare l'evidente superiorità di Redemption che rivaleggia per narrazione e forza produttiva con Grand Theft Auto IV, uno dei pezzi grossi di questa generazione: in effetti, messe da parte le problematiche free roaming (grazie all'incalzare die concorrenti, va detto) e le slavature grafiche della passata generazione, Rockstar sta mettendo a segno un colpo dopo l'altro con il plauso di critica e pubblico.
"La grandiosità di Red Dead Redemption - nota la recensione di Games Village - sta quindi nel sentirsi sempre una parte del tutto, e non il tutto. Ancor più che in GTA o in qualsiasi altro sandbox finora prodotto, sono pochissime le volte in cui emerge la sensazione di precostituito": l'esperienza vivida, dotata di ritmi biologici e naturali coerenti, rammenta l'incanto del primo Shenmue, ma lo cala in un contesto tecnologico talmente d'ampio respiro da rendere superfluo seguire un png solo per vedere come spende la sua giornata. Saloon-Poker-Bordello: non ci vuole una scienza.
Quindi davvero, il lavoro Rockstar riporta in auge il genere western, ma nella forma che nessuno s'aspettava. E quindi ad oltre 5 milioni di copie vendute è lecito aspettarsi qualcosa di nuovo, magari dal grande schermo, magari da John Hillcoat...


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