sabato 15 maggio 2010

L'interminabile caccia alla spigola

"Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d'ombra, nel buio degli scogli".
Circondato dal mare azzurrino del golfo napoletano, un disteso mattino d'Estate, eccola lì, incurante, che ti nuota attorno. La Grande Occasione Mancata.
La spigola, ora lo capisci, si identifica con Carla Boursier, amata, tradita, abbandonata: "eccola di nuovo seduta sul letto pettinandosi, per sempre lontanissima, che tenta di superare l'imbarazzo. Lui la guarda mentre lei si pettina i capelli raccolti sulla nuca, bionda come coda di cavallo oscillante - luminosi come sulla spieggia nella notte di Capodanno! - lui senza vita e un sorriso umiliato che copre il desiderio di morire. [...] Lui, solo, con la Grande Occasione Mancata". Ancora una volta a un palmo di naso, l'anguilla montaliana, il riscatto, la più preziosa boccata d'ossigeno.
Ferito a Morte (1961) di Raffaele La Capria non è un libro da leggersi a cuor leggero, la prosa è scattante, agile, frutto della sua, osserva Geno Pampaloni, "nettissima, fulminea capacità visiva". Il miscuglio di diversi stili narrativa, prima terza persona, diretto indiretto, indiretto libero, acuisce il sentore artistico, di quello che è un libro che vive di istanti, di memorie, piuttosto che di un periodare lungo, raffinato, una trama ampia completa coerente. E' invece, e La Capria lo muta dal fervore internazionalistico del dopoguerra, un continuo flusso di pensieri d'omaggio joyciano, infinito, che percorre in avanti e indietro la linea del tempo, per poi appiattire il ricordo con l'avvenire: "il personaggio si rinfrange - ancora Pampaloni - negli infiniti, inquieti soprassalti della memoria, è la coscienza del loro ineguale e vorticoso durare; e gli dà unità". Così facendo "dolcezza e crudeltà finiscono con l'identificarsi, così come il tempo si riduce a una dimensione tutta uguale".
Tra i due spunta, pare, quella futura, la partenza per Roma, filo conduttore (forse) del romanzo, ma l'ultima pagina è drammatica, un arresto, un abbandono, segno dell'ineguagliabile arrendevolezza. Fugge per sempre, la Grande Occasione Mancata?
Nel punto in cui i molti personaggi, dilette macchie di un modo di vivere tutto meridionale, si oscurano dall'ingombrante eredità partenopea, La Capria introduce l'altra parola chiave. La Foresta Vergine. Un affresco rigoglioso di un malessere perturbante, freudiano.
Per Carlo Salinari forse una immagine "eccessivamente romantica", ma nemmeno poi troppo, certo inaccessibile, una ferita incurabile, un male secolare. Napoli è per l'autore del romanzo "una città che ti ferisce a morte o t'addormenta, o tutt'e due le cose insieme", se non peggio: una leggenda, per cui i napoletani "pagano anche per gli altri napoletani la colpa di aver fatto di se stessi una leggenda. Di sfruttare questa leggenda. Di crederci, di nutrirla con la propria vita. Di cercare in essa l'assoluzione di ogni condanna". Ed è il La Capria saggista e giornalista a prendere la parola, a interrogarsi sullo scempio paesaggistico, sul senso di trascuratezza, sulla vita osservata da un tavolino de bar, e ti passa davanti con la borsetta e il vestito a fiori.
"La storia, la stessa storia meschina continua. Baroni re e vicerè - e ora questi altri, seduti al ristorante, si sentono sotto il culo un sufficiente numero di piani arbitrariamente costruiti: ciò li rassicura, la storia non muta, e stimola l'appetito". Prova a prenderla, prova ad agguantarla, alza le chiappe dalla sedia: niente da fare, cenere e polvere. La Grande Occasione Mancata.

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