mercoledì 10 marzo 2010

Grignani canta De Andrè

E' tipicamente un ribelle. Maglietta bianca e giubbotto in pelle, corre, si dimena, passa da uno strumento all'altro, si offre al pubblico. Cristiano De Andrè è fondamentalmente un musicista e con il suo ultimo tour lo sta ampiamente dimostrando, reinterpretando le canzoni di cotanto padre. Il poeta.
Lo fa come, ti fanno notare, un tipico rocker di stampo italico. Cioè come un tipo un pò sfigatello, così sbarbato... Ma le canzoni dell'illustre padre vengono cantate da "Ci" (come Faber nominava il figlio: "era concettuale anche in questo", dopo essersi evidentemente pentito di averlo chiamato Cristiano. "Crisi mistica"? eheheh...) con quel profondo rispetto, misto a orgoglio, tale da accattivarsi le simpatie del pubblico e unirsi, in un unico grande coro, attorno ai versi di De Andrè.
Diviene un susseguirsi di standing ovation, reali apprezzamenti per una poetica che travalica ogni divisione, separazione, unisce, congiunge, aldilà di ogni barriera politica ("Io non sono comunista, nè di destra. Sono anarchico", diceva Fabrizio, credendo fortemente nell'utopia. "E forse di questi tempi è meglio credere nell'utopia" aggiunge Cristiano).
Come musicista si fa assolutamente valere: passa con professionale scioltezza dal mandolino alla chitarra acustica, dalla tastiera al violino (e in questo è davvero assai bravo). E poi canta. Canta molto, ripercorrendo in maniera balzata il repertorio del padre, in un susseguirsi musicale di indubbia validità, concedendo alfine ad un pubblico in visibilio ben quattro encore, concludendo infine con la commovente "La canzone dell'amore perduto". Ma non dimentica i grandi alfieri della poetica di De Andrè, vedi Il pescatore, Bocca di Rosa e La canzone di Marinella ("Ora facciamo un pezzo inedito" annuncia. "Mai provato". Poi le note d'apertura: "scherzetto"). Dedica ampio spazio alle canzone dialettali col trittico Megun, A Cimma e Creuza de Ma, con un divertente virtuosismo sull'ardua Zirichiltaggia in dialetto sardo. Narra la genesi di Cose che dimentico, unico sodalizio tra padre e figlio (stesa in una notte soltanto a partire da una manciata di accordi venuti in mente a Cristiano, dedicata simbolicamente a un amico poeta morto per AIDS). Poi Amico Fragile, Don Raffaè, e Quello che non ho, Ho visto Nina Volare. E altro, tanto altro...
Bello, intenso. E' già finito? Decisamente soddisfacente.


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