lunedì 1 marzo 2010

Videocracy: 2 minuti d'odio

Erik Gandini si infila nella tana del lupo e si lascia sbranare. Come si dice: chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Solo che se lo zoppo è la televisione italica, ricolma di merda, di affari sporchi, di squallide spogliarelliste, chi si addentra in tali meandri oscuri, nei suoi danteschi gironi del malaffare, così intriganti, non può far altro che venirne contagiato. E uscirne fuori sporco di merda.
Più o meno la sensazione che il documentario del cineasta italo-svedese (com’è, dopo anni nella terra promessa del welfare state, te ne ritorni giù al sud?) Videocracy, squallido attacco alla televisione commerciale (manco fosse il male: si basa sul principio della libera concorrenza e su introiti derivanti dalla promozione pubblicitaria. Un sistema ben più lecito e meno ambiguo delle occupazioni politiche della tv di stato. E questo basti a smentire Repubblica), alla tv del “presidente” (de che poi? Di Mediaset, ben sta, nulla da eccepire…) e ovviamente al suo successivo ruolo politico ("il Presidente - dice Gandini - prima della televisione, poi di tutto”. Eh?!?). Un nesso c’è, è vero, ma Gandini (emigrato per anni, non scordiamocelo) si nutre di tutti quei succosi frutti che la sinistra travagliata (in ogni senso…) gli offre: conflitto di interesse (e sia: “possiede i tre maggiori canali commerciali più la tv pubblica che ormai è in mano sua in quanto capo di governo” dice più o meno così. Potrebbe anche essere verosimile, ma presentato in questo modo è davvero stupido e infantile, non trovate?), parvenze dittatoriali (una insistenza prolungata sulle marcette militari che accompagnarono la solenne cerimonia di investitura di Giorgio Napolitano a Capo dello Stato, il “presidente”. Cioè se questo non vuole inculcarci una analogia Berlusconi-Mussolini, poco ci manca) e un eccesso di divertimento che esprime con i sorrisi e le facce rilassate, distese (è forse un crimine questo? O solo invidia geriatrica??).
Insomma, Videocracy politicamente non va: non va perché si abbevera alla fonte di una retorica impotente, futile, infantile, che anziché capire (cosa a cui era giunto con soddisfacenti risultati “Citizen Berlusconi”), demonizza e basta, con quei faccioni in primo piano, quei sorrisi a 32 denti (35 nel caso del presidente…), manco fossimo ai “due minuti d’odio” di orwelliana memoria.
Non servono gli sprazzi interessanti di questo sciatto documentario a rivitalizzarne la forma: il dietro le quinte alla regia del Grande Fratello, lo sfortunato operaio bresciano che vuole diventar famoso (altrimenti non s’acchiappa…), il “robin hood moderno” incarnato dal geniale (ovviamente a suo modo, ma non stupido…) Fabrizio Corona, e qualche altro momento che c’è, ma dalla merda videocratica proprio non affiora.
Qualcuno, qualche critico affermato, ha provato a difenderlo: il più geniale, sempre a suo modo, è stato Federico Pontiggia su Cinematografo.it, che scrive una simpaticissima apologia: “Qualcuno vi dirà che Videocracy è cinema mediocre, se non banale. Avesse anche ragione, non avrebbe capito nulla. L'importante non è che cosa, e nemmeno come, ma dove: il documentario di Gandini ristabilisce il primato del cinema, uno spazio privilegiato, il buio in sala, in cui osservare per intero e per davvero quello che alla luce del sole, ovvero dei riflettori, abbiamo smesso di vedere” Un cinema che vince sulla sciatta tivvu è un reale sogno, ma se tale battaglia ha tra i suoi alfieri esponenti come Gandini, come Videocracy, come Pontiggia, come la sinistrucola attentatrice e de formatrice, beh, cosa combattiamo a fare?

Punch...

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