domenica 31 gennaio 2010

Globalmente nostro #1

Il popolo aborigeno è intriso di mistificazione e spesso oggetto di confusione. Il fatto di associarlo esclusivamente alla danza tribale Haka, divenuta nelle menti occidentali un balletto cool, la dice lunga su quale considerazione si abbia di tale popolazione oceanica.
Nella trattazione odierna, però, non dispiacerà considerarli l'emblema delle molte popolazioni che ancora vivono in modo selvaggio, lontano dalla civiltà e dalle tecnologie. Sono i vinti o i vincitori della globalizzazione?

Nello spettacolo teatrale "Millenovecentonovantadieci" (1997-1998), il comico romano Corrado Guzzanti affrontava il tema dello sviluppo tecnologico in questo modo: "se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un microsecondo mettiamo caso a un aborigeno dalla parte opposta del pianeta. Ma il problema è, aborigeno io e te che cazzo se dovemo di?"
Applausi a scena aperta. La risata lascerà poi posto alla riflessione: in un concetto generale, le cui premesse sono estreme, la funzionalità della globalizzazione quale esattamente è?
"La globalizzazione è segnata dalla tensione tra l'interdipendenza globale economica e tecnologica e l'interconnessione sociale e informativa, da un lato, e l'eterogeneità culturale e la frammentazione politica, dall'altro" si legge nel librettino La democrazia globale (Martinelli, Bocconi editore). Vediamo di far luce: sin nell'idea (definizione) del concetto si ravvisano le contraddizioni tra "un sistema unico" (il crescente rapportarsi tra stati e individui in campo economico e comunicativo) e "una realtà frammentata" (rappresentata dalle tensioni interne agli stati nazionali). L'importanza di tale concetto risiede nel fatto che investe praticamente tutti (mercati, associazioni, individui, stati, organizzazioni internazionali e sovranazionali, movimenti sociali.
In seno a questi si ergono due differenze impostazioni, chi vuole una maggiore globalizzazione (lo Stato nazionale è destinato a scomparire: lunga vita alle aziende multinazionali. Alè!), chi non ne intravede caratteri innovativi (è solo l'ennesima ondata di internazionalizzazione, più o meno come quella post-scoperta dell'America o quella tra Ottocento e Novecento).
Comunque la si veda la cosa, una questione è certa: l'attuale globalizzazione tende a favorire soltanto uno sparuto gruppo di persone, enti privati perlopiù. L'utopia di una globalizzazione dal basso, multipolare e multilivello, che possa sostenere prima di tutto gli interessi dei cittadini del mondo, portata avanti dal libretto di qui sopra, è attualmente fuori discussione.
Ed ecco l'emergere di un gruppo di individui che sta conducendo una campagna basata su un nuovo concetto semantico: "Glocalizzazione", cioè un'unità di processi e direttive, che abbia come base il rispetto e la valorizzazione dei singoli territori e delle singole località. Impossibile direte voi. E invece certi esperimenti al momento paiono assicurare la bontà di tale intuizioni neo-globalista: ad esempio la comunità mondiale Terra Madre fondata dal Presidente di Slow Food, Carlo Petrini. La sua esperienza è contenuta nel libro omonimo (dal sottotitolo esplicativo: "come non farci mangiare dal cibo") che l'Autore ancora attende di leggere. Quindi per ora terminiamo qui, ma la riflessione verrà portata sicuramente avanti più avanti...

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