martedì 1 giugno 2010

Tutti dicono I love you. Tranne Moccia

Anacronistico, surreale, financo magico.
Non che Woody Allen non ti suggerisca gli aggettivi, ma il Tutti dicono I love you del'97 suggerisce proprio questo.
Commedia-musical dal sapore antico, vagamente attaccata a stilemi classici (ci dicono intellettualmente pregnanti. Sarà...), dall'assoluto accento onirico: sotto la lente di ingrandimento tresche amorose, coppie impensabili, assurdi coinvolgimenti sentimentali. Credi che siano tutti pazzi i personaggi di Tutti dicono I love you, nevrotici è il vocabolo più adatto.
Materiale perfetto per un film, anzi no per "un musical. Sennò nessuno ci crederebbe". Dunque Allen che si innamora della Roberts raccontandole fandonie, informazioni fattesi passare sotto banco dall'analista di lei: ti porterò a Bora Bora, ti soffio suadentemente tra le scapole, adoro il Tintoretto, corricchio tutte le mattine tra i calli di Venezia. Poi la Drew Barrymore deve sposare un aitante ragazzotto ricco sfondato ma si innamora di un galeotto, sessualmente represso, che ha le fattezze di un Tim Roth (fuorilegge stimatissimo da fior fior di registi prima del Novecento di Tornatore). La figlia di Allen, Natasha Lyonne, si innamora dei tipi più svariati: vede un ragazzotto italiano in vacanza a Venezia e lo vuole sposare il 15 Gennaio, conosce un tipo all'aereoporto, abbandona gondola e pastasciutta per un fugace amore sul taxi, per poi lasciarlo in favore di un rapper che ha la bontà di dire quello che pensa.
Fanno sorridere tutti questi pazienti della clinica dell'amore, ma a ghignarsela di gran gusto è Woody Allen che sigla un'altra commedia affascinante, sprigionando sentimento e buonumore all'interno del triangolo amoroso: Venezia-New York-Parigi.
E la morale? Dolore o spensieratezza? Fai così: prima la seconda, attendi attendi finchè non giunge il primo, ma poi sta tranquillo la seconda ritorna. Claro...


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