sabato 6 febbraio 2010

Malena, o il conato della Bellucci o il senso di Tornatore

Due anni dopo l'immensa apertura americana di La leggenda del pianista sull'oceano, Tornatore si appropria nuovamente della sua Sicilia e ce ne restituisce l'ennesima porzione, l'ennesima impersonificazione dello spirito trinacrico. Con Malena (2000) infonde la carnosità e la sensualità tipica delle donne castane e formose della nostra bella isola in Malena fresca moglie di un ufficiale dell'esercito italiano, interpretata da Monica Bellucci, che diventa una formidabile icona per il paesello di Castel Cutolo, laddove l'attrice era allora come oggi una tra le donne più ambite e desiderate del globo intero. Tornatore è alquanto abile nello sfruttare il suo corpo sensuale e nel limitare al minimo le parole così da farne la sua migliore performance attorale di sempre.
Il tredicenne Renato Amoroso (interpretato dall'esordiente Giuseppe Sulfaro) conosce attraverso una morbosa ossessione per Malena il sentimento amoroso e ne è da subito rapito, sbigottito, ma al contrario delle "malelingue che sparlano sempre" in paese, lui è sempre pronto a difenderla fino ad assecondarla in un turbinio erotico veramente efficace: "l'amore vero è solo quello non corrisposto - annota in segreto il protagonista - ora capisco perchè. Ormai è tanto tempo che non vi vedo uscire di casa, eppure il mio amore per voi più è lontano e più è grande". L'invidia dei compaesani è una brutta bestia e nella fattispecie quella femminile è assai spietata, per quanto sono più gli uomini ad attribuire alla desiderata più d'un amoretto.
Stilisticamente intervengono con forza il senso dell'olfatto, a restituire i sapori della terra di Sicilia e del suo simulacro filmico (qui la Bellucci), mentre all'udito è assegnata la peculiare funzione di narrare l'evoluzione storica che fa da sfondo alla vicenda (dalla retorica fascista e interventista del celebre discorso del 10 Giugno di Mussolini, passando poi per canzonette come "Ma l'amore no", il tragico computo dei morti, la spietata parlantina nazista, la fulminea dizione statunitense, il rassicurante calore popolare). Tale eclettico uso del sonoro sopperisce un Morricone inspiegabilmente piuttosto confusionario, istituzionale e monocorde: manca qui quell'esplorazione del sentimento che si era vista appena due anni prima con La leggenda del pianista sull'oceano (vedi il brano Playing Love).
Un appunto si deve sicuramente tendere all'uso del cinematografo, elemento centrale in altre produzioni, prima fra tutte Nuovo Cinema Paradiso: in Malena Tornatore è infinitamente più discreto, abbandonando addirittura l'idea di luogo massimo di aggregazione (le sala cinematografica è sempre perlopiù vuota) e sopratutta non vi è quella forma di narrazione entro la narrazione attraverso le pellicole proiettate. Piuttosto il protagonista si immagina continuamente Malena come coprotagonista femminile al suo fianco in molte classici cinematografici (un western, uno storico su Cleopatra, una sorta di King Kong, un Tarzan): il cinema come catarsi, sogno infinito e reitarata fantasia.
Sopra tutto si erge una fotografia affidata alle esperte mani di Lajos Koltai, che dipinge il periodo fascista con toni cupi e luce soffusa (tutt'al più squarcia la tenebra una luce rossa, ma come si vedrà è tipica della depravazione del bordello), per poi staccare con nettezza alla caduta del regime sfoderando una tavolozza colorata e gioiosa, un tono poetico di rara bellezza, capace di trasformare l'aridità del paesaggio siculo in emozioni che colpiscono direttamente il cuore, fino a quel memorabile scorcio finale grande come un lungo lunghissimo abbraccio.


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